Professione forense


Notiziario Giuridico · Scritti di diritto, ma non solo

Spazio dedicato appositamente alla mie riflessioni sulla professione forense, su tutto ciò che avviene nelle aule giudiziarie e sulle scelte legali degli avvocati. di seguito il link:

http://avvmauriziostorti.wordpress.com/

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26.5.2014

Il paradosso dell'avvocato

Il paradosso dell'avvocato (anche detto paradosso di Protagora) è un paradosso citato da Aulo Gellio e secondo la tradizione riferito ad elaborazioni della scuola stoica.

Secondo questa versione, Protagora avrebbe formato agli studi di legge, come istitutore, un giovane promettente, Evatlo (Euathlus), dal quale ebbe solo la metà di quanto richiesto per le lezioni e col quale stabilì che il resto sarebbe stato saldato dopo che questi avesse vinto la sua prima causa.

Ma Evatlo non cominciò la professione di avvocato, anzi si diede alla politica, e non avendo vinto la sua prima causa poiché non ne aveva mai fatte, Protagora non veniva pagato; quest'ultimo lo convenne dunque in giudizio per essere saldato del prezzo delle sue lezioni.

Il giovane decise di difendersi da solo, divenendo perciò avvocato di sé medesimo, e creando questa situazione di indeterminatezza:

secondo Protagora:
se Evatlo avesse vinto, avrebbe dovuto pagarlo in base all'accordo, perché avrebbe vinto la sua prima causa;
se Evatlo avesse perso, avrebbe dovuto pagarlo comunque per effetto della sentenza.

Secondo Evatlo:
se Evatlo avesse vinto, non avrebbe dovuto pagare Protagora per effetto della sentenza;
se Evatlo avesse perso, non avrebbe dovuto pagare Protagora perché in base all'accordo non aveva vinto la sua prima causa.

Il paradosso è spesso citato a fini umoristici per segnalare la "gara di speciosità" sempre corrente fra le categorie forensi e quelle della politica. [Da Wikipedia]


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29.3.2012

Fenomenologia dell’avvocato (Giulio Imbarcati "Gli avvocati… dovrebbero arrestarli da piccoli!") (http://www.robinedizioni.it/gli-avvocati-dovrebbero-arrestarli-da-piccoli)


Il termine avvocato deriva dal latino vocatus, ossia chiamato. Non nel senso, come verrebbe spontaneo pensare, che nel corso dei secoli all’indirizzo di questa figura professionale siano stati rivolti irripetibili epiteti di contenuto per lo più malevolo (sia stato, cioè, chiamato in mille ingiuriosi modi), ma nel significato che a lui ci si rivolge quando si ha bisogno d’aiuto. Lo si chiama, appunto, in soccorso. Funzione che, a prima vista, sembrerebbe sposare quel nobilissimo sentimento della solidarietà, principio e cemento di ogni raggruppamento umano e, sovente, anche animale. Eppure, ci fu un tempo in cui, malgrado le comunità si fossero già strutturate più o meno nella forma che conosciamo, dell’avvocato non si avvertì il bisogno. Non che non esistesse un sistema di regole formali, simili a un processo, per dirimere le liti. Ma ognuna delle parti in causa faceva per sé e si difendeva al meglio delle sue possibilità, sottoponendo il suo caso a un soggetto terzo che emanava responsi e dettava soluzioni. Poi le cose lentamente cambiarono, forse perché i rapporti sociali si facevano via via più complessi, forse perché i soliti individui omaggiati da improvvisa ricchezza ma inabissati in antica ignoranza, trovarono più conveniente affidare ai più istruiti la difesa dei propri interessi.
George Burns, attore comico statunitense che qualcosa doveva sapere avendo vissuto cent’anni, ha esposto una sua maliziosa teoria sulla creazione della categoria  professionale: “And God said: Let there be Satan, so people don’t blame everything on me. And let there be lawyers, so people don’t blame everything on Satan” (“E il Signore disse: Facciamo Satana, così le gente non mi incolperà di tutto. E facciamo gli avvocati, così la gente non incolperà di tutto Satana”). Per quanto sufficientemente credibile, le cose, nella realtà, non andarono così.


I greci
Se con qualcuno bisogna prendersela, o se qualcuno si deve ringraziare, per la nascita del nuovo ceto dei legulei è necessario guardare alla Grecia, terra in cui, un tempo, tutto accadeva. La professione, infatti, affonda le sue radici nell’antica Atene, dove, fra il IV e il V secolo a.C., una categoria di persone, i lolografi, escogitò di scrivere le arringhe che la parte in lite avrebbe letto davanti a una sorta di tribunale popolare (il dikastérion), variamente formato da cittadini maschi, adulti e liberi. Se il  malcapitato contendente non sapeva leggere o non era in grado di farsi capire, era ammesso l’intervento di altri soggetti (detti synégoros), che declamavano le orazioni redatte dai lolografi. Orazioni che, necessariamente, avevano poco di giuridico e troppo di retorico perché non esisteva ancora in quell’epoca un corpo strutturato di leggi. Contava, quindi, più  conquistare la benevolenza dei giudici che analizzare i fatti e applicare le regole. Va da sé che, in una simile prospettiva, la declamazione magniloquente e persuasiva diventava centrale. L’oratore, infatti, doveva innanzitutto accattivarsi la simpatia della giuria, emozionarla, coinvolgerla, demonizzare l’avversario. Quanto fosse utile per l’accusato questo sistema non è dato sapere con certezza. Ma qualche risultato doveva pur darlo, se è vero che Socrate, il quale, rifiutando l’ausilio degli esperti confezionò e recitò personalmente la propria arringa (per la verità un po’ supponente e per nulla imbonitrice), non riuscì ad evitare l’accusa di empietà e la condanna a morte. Quel che è certo, invece, è che estensori dei sermoni e lettori delle perorazioni avevano un costo. E ciò, com’è
evidente, dovette creare una forte disparità fra i cittadini, solo i più abbienti potendo ricorrere ai loro servigi. I lolografi (per lo più uomini politici o educatori che arrotondavano così i loro guadagni) prestavano la propria opera su incarico, avendo una tesi precostituita da difendere e adattando argomentazioni e concetti in relazione ai bisogni del committente. Fu per questo che Platone sparò a zero sui giuristi considerandoli personaggi negativi. Essi, infatti (al contrario dei filosofi), perseguivano solo la soddisfazione del proprio assistito, infischiandosene della ricerca della verità e dell’idea di giustizia. 


I romani
La figura che più si avvicina all’odierno avvocato, però, si sviluppa nella Roma antica e si consolida nella Roma repubblicana, in cui il giurista possiede tre compiti diversi: cavere (redigere contratti fra privati), respondere (fornire pareri sulle controversie) e agere (assistere i litiganti in giudizio). Quest’ultima attività, però, non consisteva nel rappresentare la parte nel corso della causa, perché tale funzione era assunta da un fine dicitore, un abile parlatore, che non doveva necessariamente essere un giurisperito. Cicerone, ad esempio, fu un filosofo, un retore, un politico. Ma era digiuno di qualsiasi cognizione giuridica. Cionondimeno, si dimostrò un superbo patrocinatore. Anche di se stesso, come dimostra la locuzione divenuta comune C icero pro domo sua, dal titolo della fervente orazione che egli tenne nel 37 a.C. per ottenere la ricostruzione a spese dello Stato della sua casa che gli era stata distrutta durante gli anni dell’esilio. Attorno agli oratori più bravi che sostenevano le ragioni del proprio assistito davanti ai tribunali (tribune all’aperto montate all’interno del foro) si radunavano piccole folle di curiosi. Ed è da questa suggestiva immagine che nasce il mito del principe del foro, espressione con cui si continuano a designare gli avvocati di grido o auspicio rivolto ai giovani che si affacciano alla carriera forense. Il compenso dell’avvocato romano era la fama, acquisita la quale si poteva pensare d’intraprendere la carriera politica. In questo periodo sussisteva il divieto di ricevere denaro in cambio delle proprie prestazioni professionali,
e la violazione del precetto era addirittura sanzionata mediante irrogazione di una pena pecuniaria. Ma è facile supporre che il divieto venisse sistematicamente aggirato, dal momento che era consentito accettare doni e regalie da parte dei clienti riconoscenti. Da qui l’aurea massima, coniata in quell’epoca, secondo cui ianuam advocati pulsanda est pede (alla porta dell’avvocato si bussa col piede, le mani essendo occupate a reggere i doni).


Il medioevo
L’importanza dell’avvocato si attenuò fortemente in epoca tardo-imperiale, quando  l’avvocato fu trasformato in un funzionario pubblico, e degradò completamente con l’ordinamento bizantino e nel basso medioevo, quando l’esito del processo venne per lo più consegnato a vaticini magici o a risposte divine. Ed è noto che l’ordalia, ossia quella pratica per cui l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato si determina in base alla personale sopportazione del dolore provocata dalla tortura, mal si concilia con la razionalità dei principi giuridici e con l’uso della parola. Nei processi a carico degli eretici, poi, l’avvocato non aveva il compito di difendere l’imputato dall’accusa, ma quello di assisterlo nelle questioni procedurali e, soprattutto, convincerlo a confessare il suo crimine per consentirgli di ottenere la pena più lieve possibile. Peraltro, era tutt’altro che frequente che l’accusato fosse affiancato da un patrocinatore. E ciò non solo perché l’ufficio non era gratuito (hai visto mai…), ma anche perché nel caso di condanna all’avvocato sarebbe stato inibito l’esercizio futuro della professione. Malgrado ciò, a partire dall’anno 1000 si sviluppò attorno allo studio del diritto un nuovo interesse, che fece riemergere la figura del mediatore processuale. Incredibile a dirsi, ma un ruolo fondamentale in questo senso ebbe la Chiesa, che pure con l’introduzione del processo inquisitorio (in cui le funzioni di accusatore e giudice si compendiano nella stessa persona) aveva posto il difensore ai margini del processo, potendo i frati inquisitori procedere sommariamente, lontano dal fracasso di tribunali e avvocati, secondo l’autorizzazione dei vari pontefici che si succedettero, da Innocenzo III a Gregorio IX, da Alessandro IV a Bonifacio VIII (quest’ultimo contemporaneo di Dante Alighieri, il quale con uno stratagemma lo spedisce ancora vivente all’inferno, fra i simoniaci). Ma dovendo curare i propri interessi e non potendo stare in giudizio direttamente, in quanto entità  impersonale, la stessa Chiesa fu costretta a ricorrere a rappresentanti e incaricati, veri e propri procuratori nei processi. 


L’età comunale
In età comunale alla figura del causidico (procuratore o rappresentante) si affiancherà quella dell’avvocato (consulente giuridico e patrocinatore nel processo). E, per la prima volta, si regolamenterà l’accesso alla professione legale, richiedendosi per l’esercizio del mestiere la frequenza a scuole di diritto e il superamento di un esame. Fu così che, lentamente, il ruolo del giurista tornò in auge. Emblematici, oltre che simpatici, sono gli appellativi con cui nel diritto processuale spagnolo del XIII secolo si definirono i procuratori e gli avvocati e cioè, rispettivamente personero (colui che sta in giudizio in luogo di un’altra persona) e vocero (colui che difende nel processo e utilizza voce e parole nell’esercizio del suo ufficio). Ma, fra alti e bassi, favori e avversioni, l’avvocato si affermò come figura libera e indipendente con l’illuminismo, quando si diffuse l’idea che tutti avessero diritto a un giusto processo e che il solo modo per ottenerlo era valersi di assistenza qualificata.


L’età moderna
Oggi, quasi tutti gli ordinamenti prevedono la figura dell’avvocato, ossia di un soggetto munito delle necessarie cognizioni tecniche e sottratto all’influenza dei poteri pubblici.
In Italia a ogni cittadino è costituzionalmente garantito il diritto di difesa (articolo 24 della Costituzione). È, questo, un principio cardine del nostro ordinamento giuridico, reso efficace da una serie di misure che ne consentono l’effettività. Chi ne abbia bisogno e non disponga dei mezzi economici per ricorrere ad un legale, può più o meno fiduciosamente contare sull’intervento dello Stato che deve predisporre le risorse per assicurargli l’assistenza. Ciò non significa che metterà a disposizione dell’indigente un legale della propria avvocatura (e no, perbacco!, sarebbe un bel risparmio…), ma che gli assegnerà o consentirà di scegliere un avvocato del libero foro che provvederà alla difesa.
Diritto di difesa, dunque.




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7.3.2012

Stamane, in udienza alla sezione esecuzioni mobiliari del tribunale di Roma, mi sono reso conto (purtroppo come in altre occasioni) come il comportamento poco deontologico (per non dire fraudolento) di alcuni, pochi colleghi, si ripercuota a danno dei tanti che lavorano e si impegnano anche nell'interesse della controparte.

Si trattava di un ppt (i.e. pignoramento presso terzi) contro l'INPS ed oggi veniva per l'assegnazione della somma: in questa occasione sia il terzo che il debitore esecutato, conoscendo il giorno dell'udienza così come modificata rispetto a quella in citazione (a Roma sono tante le procedure esecutive e non si rispetta quasi mai l'udienza in citazione) dovevano essere presenti (il terzo, in questo caso particolare può anche mandare una racc. contenente la dichiarazione di vincolo delle somme depositate dal debitore).

Il contraddittorio era perfettamente regolare poiché la notifica del ppt era andata a buon fine.

Pertanto ho colto l'occasione per fare un intervento per la sorte di altro creditore dell'Ente previdenziale, ammontante a poco più di € 600,00. Deposito l'atto di intervento in cancelleria (con relativo C.U. e marche) e mi reco in udienza. il Giudice, invece che riservarsi e poi assegnare le somme, mi rinvia per consentire la notifica dell'intervento e del verbale di oggi al debitore!! Cerco di spiegare che la norma è cristallina e consente (con titolo e precetto non scaduto depositati in originale, come ho fatto) all'intervenuto di vedersi assegnare le somme. Nulla di fatto.

Sono convinto che il Giudice, pur conoscendo bene la procedura, ha optato per la notifica al debitore al fine di tutelare lo stesso dall'ipotesi di intervento di somme già pagate. Altrimenti non si spiegherebbe questa forzatura.

Amici Colleghi mi hanno poi fatto presente che il Giudice in questione adotta tale metodologia specie nei ppt contro Roma Capitale che, evidentemente impossibilitato nel controllare prima dell'udienza di assegnazione la regolarità di tutte le procedure di intervento, confida nella notifica del'intervento stesso per i dovuti riscontri.

E pensare che la finalità dell'atto di intervento era quella di evitare spese ulteriori al debitore: infatti se faccio un'autonoma procedura, oltre ai costi della stessa (relativa all'attività di gran lunga più impegnativa rispetto al semplice intervento) comporterebbe l'incapienza delle somme eventualmente vincolate a causa dell'irritante norma che prevede la pignorabilità dell'importo precettato aumentato della metà. Nel caso in esame 600,00 + 300,00 = 900,00 che non sarebbero bastate per coprire tutte gli importi (prima le spese di esecuzione, poi quelle di precetto e poi la sorte) pur depositando note spese ai minimi.


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5.2.2012

Il ministro Severivo (avvocato penalista) si e' accorto che nell'art. 9 d.l. 1/12, nell'aver abrogato le tariffe forensi in attesa dei decreti ministeriali, manca una disciplina transitoria. Il ministro (che ha abrogato le tariffe) rispondendo ad una interrogazione in commissione risponde che vi potrebbe essere "un uso normativo fondato sulla spontanea applicazione dei criteri di liquidazione del compenso già previsti dalle tariffe abrogate", ossia abrogano le tariffe e (dimenticandosi di disciplinare il periodo transitorio) auspicano le stesse vengano ancora applicate.. Incoerenza? No incompetenza mista a voglia di colpire (in un modo o nell'altro) un settore professionale..


http://www.confprofessioni.eu/files/download/news/INTERROGAZIONE%20tariffe%20professionali.pdf



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1.2.2012

Qui  di lato i voti del 1° turno per le elezioni   del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma.
Il rinnovo del consiglio si caratterizza per alcune conferme e diverse novità.
Anzitutto il Collega Vaglio conferma, per l'ennesima tornata elettorale, di essere il più votato a Roma: sarà l'occasione per essere finalmente eletto presidente? 
E' certo che superare al primo turno lo scoglio della metà più uno dei voti, non è cosa da tutti.
Si conferma anche il presidente uscente, il Collega Conte, a cui deve andare il plauso per aver diretto (in maniera da taluni ritenuta fin troppo colorita) la recente manifestazione sotto la RAI per la protesta contro le selvagge liberalizzazioni.
Conferme anche per il più longevo dei candidati, il Collega Cassiani, evidentemente esperto nella lotta elettorale.
Conferme le trovo anche per il Collega Di Tosto, ormai punto di riferimento da diversi anni del C.O.A. di Roma, come per il Collega Condello.
Sorprese, di converso, ci sono state.. e col "botto".
Per iniziare, come non notare la 23^ posizione dello stimatissimo Collega e Avvocato (di quelli con la "A" maiuscola) Cipollone. Sono sincero: la sua esperienza dovrebbe essere un tesoro per il Consiglio. 
Appresso, risulta solare il dominio della lista Vaglio, che concede alla "rivale" del presidente uscente Conte solo due posizioni (Conte e Condello). 
Di certo tutto può succedere (e sono sicuro, succederà) nel ballottaggio del prossimo fine settimana: però appare evidente l'influenza degli ultimi (ottimi) successi sul campo della compagine di Vaglio (fra tutti, il riconoscimento della violazione della legge operata dal Tribunale di Roma nell'imporre un ridicolo orario di apertura delle cancellerie, con merito del Collega Galletti; sul punto ricordo che la simpatica comica Cinzia Leone, in un suo siparietto all'epoca di "tunnel" su Rai tre, ci rappresentava una dipendente pubblica che allo sportello specificava che rimaneva aperto dalle "8 alle 8". Ecco..ci mancava poco, ma si rischiava di arrivare fino a quel punto).
Non credo si diano per vinti (perchè la tempra è forte) i Colleghi Fasciotti, Murra e Nesta.
In ultimo una conferma: il Collega e amico Massimiliano Cesali che oltre ad aumentare il consenso rispetto alla tornata elettorale di due anni fa, si distanzia di "soli" 700 voti dall'elite dei candidati. Se il collega Cipollone è necessario per la Sua esperienza, il Collega Cesali lo è per le pregevoli iniziative mosse, cartina di tornasole di un chiaro entusiasmo giovanile (di politica forense, si intende). Largo anche ai nuovi volti? Lo spero. 



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31.1.2012

Oggi, dopo aver presenziato all'udienza del GUL Colli a Velletri, aver passato atti all'unep presso lo stesso Tribunale e dopo aver sbrigato altre attività nel detto foro mi sono sbrigato a tornare a Roma per timore di rimanere bloccato per neve (il cielo la minacciava). Alzandomi alla mattina alle 6.00 (come di consueto, quando vado fuori Roma), ho finito tutto già a metà mattinata. Che fare del prezioso tempo risparmiato? Ho colto l'occasione e mi sono diretto all'Ostiense presso gli Uffici del contenzioso di Roma Capitale a cui, il 27 u.s., ho inviato via fax un'istanza da far firmare al Funzionario delegato Dott. Pelusi. L'efficientissima Sig.ra Bellofatto, che ieri sera mi aveva comunicato la disponibilità del documento, mi consegnava il tutto imbustato e siglato.
L'atto consisteva in una richiesta (appunto congiunta) di correzione della sentenza del GdP di Roma in cui, erroneamente, si indicava "nulla per le spese" in luogo del pagamento al sottoscritto difensore antistatario: benché la domanda giudiziale fosse integralmente accolta, infatti, mancava solo la mera quantificazione della rifusione delle spese di lite.
Lode al Funzionario di Roma Capitale che con la Sua, peraltro estremamente tempestiva, adesione alla mia istanza, consentirà:
a) alla mia assistita di evitare di pagarmi i compensi professionali che rimarranno a carico della parte soccombente;
b) di evitare un inutile (e solo per il sottoscritto, conveniente) appello che non avrebbe fatto altro che intasare le aule di giustizia;
c) di evitare che il "nostro" Ente Roma Capitale debba farsi carico di sopportare altri costi ed esborsi inutili (l'eventuale, ma molto probabile, condanna in fase di appello).
Come al solito, però, il Giudice ha disatteso la mia nota spese, regolarmente depositata in udienza (ma vista la recente abrogazione delle tariffe e la scelta di alcuni giudici di soprassedere in attesa dell'imput ministeriale..beh.. mi accontento).


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30.1.2012

"...l'avvocato è una figura istituzionale, che dà fastidio, perché con le sue parole e con i suoi scritti chiede, interroga e pretende. Quando si arresta anche il più nefasto degli individui, egli deve essere informato, deve poter parlare con il reo, può persino impugnare ogni decisione e persino chiedere che la legge venga posta nel nulla per contrarietà alla Costituzione. Se vengono notificati atti impositivi astrusi, può chiedere che il presunto evasore nulla paghi. Se qualcuno ha subito un torto, può, seppure a fatica e dopo aver fatto mille e più avvisi e raccolto i danari che servono per iscrive a ruolo l'azione, convincere il proprio assistito a intentar causa per ottenere il risarcimento del danno provocato anche dallo Stato."

Estratto dall'articolo dell'Avv. Alfredo De Francesco ("Sulle tariffe forensi e sul ruolo dell’avvocato. Considerazioni sull’art. 9 della “bozza” del Decreto legge sulle liberalizzazioni", in filodiritto.com del 21.01.2012)

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27.1.2012

Nella giornata di ieri il Primo Presidente della Corte di Cassazione ha attribuito parte della colpa alle gravi "defaillance" del sistema giustizia agli Avvocati (ritenuti troppi, alla faccia di Monti) i quali non farebbero, tra l'altro, da filtro alle cause. 
Ebbene, dopo esserci rimasto inizialmente male (non perchè il fatto in sè per sè non sia vero, ma perchè questo fosse stato eletto ad uno dei primi motivi dei disagi della giustizia) colgo oggi l'occasione fornita da un GdP per evidenziare che, in fin dei conti, anche i magistrati (in questo caso, onorari e non togati) possono influire negativamente al sistema giustizia imponendo fasi di gravame che si devono (e possono) evitare.
Il Giudice in questione, conosciuto per la mole delle sentenze prodotte, ha nel caso in esame rigettato le domande di parte attrice,  relative ad una vacanza rovinata, compensando le spese (stante la contumacia della controparte) ed è giunto a tale conclusione con dei passaggi motivazionali estremamente apodittici e, in alcuni casi, grotteschi: tutti eventualmente da sottoporre al vaglio del giudice di appello (con aggravio dei costi e dello strumento del processo).
In particolare, si è scritto in sentenza che "Occorre anche aggiungere che stiamo parlando di un paese -l'Egitto- ove prevale una grande povertà della popolazione, uno standard di vita certamente non all'altezza dei paesi occidentali, una scarsa cura per l'igiene ed il Ministero degli Esteri italiano mette in guardia i turisti sui rischi di epatite [...] Insomma chi sceglie di viaggiare in tali paesi e tra questi l'Egitto deve mettere in conto alcuni disagi e deve rinunciare a pretendere standard di vita comuni in occidente" (!).
Argomentazioni, queste, non solo sono destituite di fondamento (dal sito esteri.it, nel link "unità di crisi" ci sono altri link che portato alle schede delle singole nazioni, tra cui l'Egitto, in cui si legge "Situazione sanitaria discreta. Al Cairo, ad Alessandria e nelle maggiori località turistiche -Sharm el Sheikh, Hurghada, Luxor, ecc.- vi sono strutture ospedaliere che possono essere ritenute soddisfacenti..." e ciò mal si concilia con quanto argomentato dal giudice), ma rischiano di avallare un principio assurdo: ossia il teorema che se paghi € 1.000,00 per un viaggio tutto compreso in una struttura 4 stelle in Egitto devi sapere che troverai una qualità di servizi pari a 3 stelle (o meno) e non potrai lamentarti con chi ti ha venduto il pacchetto all inclusive a 4 stelle perchè.. è ovvio, in Egitto sono più poveri di noi e si "deve mettere in conto alcuni disagi e deve rinunciare a pretendere standard di vita comuni in occidente..", ragione per la quale non potrai chiedere che ti venga restituito parte del costo iniziale di € 1.000,00.
Allora mi chiedo: se tutto questo fosse vero (assieme al fatto che l'Italia non è il paese primo della classe per standard di vita), qualora dovessi andar in viaggio in un paese che, statistiche alla mano, è più civile e pulito dell'Italia, potrei pagare qui per un 3 stelle e pretendere lì un 4 stelle? Se tanto mi da tanto..


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26.1.2012

In occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, tenutasi oggi in Cassazione (di fronte alla bellissima piazza Cavour, rifatta e ripulita in tempi contingentati per l'occasione) il Primo Presidente della Suprema Corte di Cassazione dott. Lupo ha affermato che il numero degli Avvocati continua ad aumentare ogni anno e "il loro esorbitante numero, se non costituisce un diretto fattore di incentivazione del contenzioso, certamente non contribuisce a deflazionarlo, giacché risulta del tutto insufficiente l'attività di filtro da parte della classe forense". E, ancora, che "In Italia una parte della domanda patologica di giustizia costituisce espressione di un vero e proprio abuso del processo [...] in campo civile esso ritarda e spesso frustra irreversibilmente il soddisfacimento delle istanze delle parti private e, nel campo penale, potendo contribuire alla prescrizione dei reati, può persino sottrarre il reo alla punizione".
Ci rendiamo conto che bieca visione possono avere dell'Avvocatura?
Se il tormentone del 2012 sarà "liberalizzazione", di certo non potrà attribuirsi alla Professione Forense e, se il buon (si fa per dire) Monti insisterà nella volontà di liberalizzare selvaggiamente le professioni, cosa farà? Darà ascolto al Primo Presidente della Corte di Cassazione? Ovviamente (e forse involontariamente) no, in quanto dovrà essere coerente.
Ma il rischio, con l'abolizione delle tariffe e con il prossimo svuotamento dei C.O.A., sarà che a causa del crescente numero degli Avvocati, questi per riuscire a "campare" dovranno tirar fuori dal cilindro contenziosi nuovi di zecca.
Purtroppo, a mio modesto parere, credo che ciò non basterà ancora poiché chi deve sopportare costi fissi e non ha più la certezza di tariffe quantomeno minime, dovrà adattarsi a "racimolare" ciò che capita in giro, storpiando letteralmente la propria figura professionale (magari offrendo uno sconto del 10% sul preventivo a chi gli porta un proprio volantino con su stampata la frase "hai subito dei TORTI....fatti seguire dall'Avv. STORTI!!).
Francamente vorrei evitare di arrivare fino a quel punto (ma sono sicuro che rimarrò fermo sulle mie posizioni) ma all'occorrenza.. ho già lo slogan..


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20.1.2012

Qui di lato un vero e proprio esempio di giustizia "domestica".
Non notate nulla di strano? Al dire il vero anch'io all'inizio non ho colto l'originalità del provvedimento ma, una volta illuminato dal Collega-Capo sono passato dal sorriso, alla forte risata, per giungere infine a mettermi le mani nei capelli!
Andiamo con ordine.
Avvocati di Perugia (la lettera "A" maiuscola è dovuta solo per esigenze grammaticali) hanno inteso depositare un ricorso per decreto ingiuntivo presso il GdP di Foligno utilizzando, per il provvedimento di ingiunzione del Giudice,la carta intestata del proprio studio legale(vedi intestazione sopra). Per opportunità ho eliminato tutti i riferimenti possibili.
La data di deposito del ricorso (consegnato unitamente all'ingiunzione alla cancelleria del GdP) è del 25.11.11, apposta di lato sulla destra dell'"INGIUNGE"; il GdP provvede quattro giorni dopo, il 29.11.11 e deposita il provvedimento con annesso il ricorso in cancelleria il 5.12.11; infine viene estratta copia conforme di tutto il 13.12.11.
Per fortuna (per gli avvocati ricorrenti, si intende) l'attento GdP ha rettificato il luogo di emissione del provvedimento interlineando Perugia, dove logicamente il tutto è stato scritto e apponendo quindi Foligno, luogo dove in teoria il provvedimento del Giudice doveva essere scritto (diversamente il tutto sarebbe risultato viziato da palese nullità) e ancora ha rettificato l'ingiunzione, gentilmente predisposta dagli avvocati con cui suggerivano al debitore di pagare "immediatamente", prevedendo il più corretto "entro 40 giorni dalla notifica del presente atto" (sarò maligno, ma secondo me nello scrivere il provvedimento al loro studio, gli avvocati di Perugia hanno preferito il termine "immediatamente" al termine "all'istante", fraintendendo quindi il vero significato del "pagamento all'istante", ossia a chi promuove il ricorso).
Che dire.. circoscrizione giudiziaria che vai.. aberranti usi che trovi!
E vogliono liberalizzare ulteriormente la professione? Ma va la..


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17.1.2012

Ieri sera, con mia meraviglia, ho ricevuto una mail dal GdP Z. dell'Ufficio del Giudice di Pace di Roma, il quale mi comunicava l'udienza odierna. Chiaramente ho risposto subito, ringraziando.
La meraviglia non risiede nell'invio di una mail in sè per sè (considerando che solo oggi, alle 16:50, ne sono state inviate più di 250.000.000.000, cfr.  http://www.worldometers.info/) ma nel fatto che il validissimo Sig. Giudice si sia adoperato nell'utilizzare questo semplicissimo mezzo di comunicazione elettronica per informare le parti di un giudizio.
Grandioso! A Roma è una vera rarità.
Lasciamo stare il fatto che la mail mi sia arrivata alle 21.46 di sera e che l'allegata comunicazione di cancelleria non prevedesse la sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato e ancora che il ricorso sia stato parzialmente accolto con compensazione delle spese di lite (il che imporrà la fase di gravame): oggi è stata una grandissima giornata poiché ho conosciuto un Giudice del "terzo millennio". Grazie Gdp Z., ci fossero Suoi Colleghi altrettanto attrezzati!


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20.12.2011

Il TAR del Lazio ha accolto in sede cautelare il ricorso contro la riduzione a sole tre ore al giorno (divenute poi tre ore e mezza) degli orari di apertura delle cancellerie del Tribunale di Roma.
Con ordinanza n. 4912 del 20.12.2011 il TAR ha concesso non solo la sospensiva dei provvedimenti del Presidente del Tribunale, ma ha anche affermato la sussistenza dell’obbligo legislativo "secondo cui le cancellerie e segreterie giudiziarie sono aperte al pubblico 5 ore nei giorni feriali".


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17.12.2011

<< Je suis la défense è scritto sul portone del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Parigi.
"Io sono la difesa": difendere chiunque ci abbia chiamato (advocatus) o per salvare la sua innocenza o per proteggerlo dagli abusi e dagli errori del sistema, comunque per restargli accanto nei tempi lunghi di un giudizio e vincere la sua solitudine">> (Luigi Follieri)
(cfr. Avv Saracco Dott Paolo, 20 settembre 2011)


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25.10.2011

Evviva la giustizia! Succede anche questo.. Può capitare, infatti, che il Giudice titolare di una causa sia momentaneamente assegnata in Corte d'Appello e che, a causa della carenza dell'organico dei magistrati, si debba (frettolosamente) rimediare spartendo il ruolo del detto Giudice a due GOT (giudice onorario di tribunale) con rinvio d'ufficio ai giorni in cui questi tengono udienza.
Ebbene, a prescindere dalla opportunità di assegnare a nuovi giudici delle cause già in fase avanzata (il che comporta, generalmente, un ulteriore rinvio per consentire -giustamente- al nuovo giudice di organizzarsi al meglio il lavoro), occorre evidenziare che in questi casi le croniche carenze di personale e mezzi delle cancellerie si sentono, eccome. Il cartello che vedete è la comunicazione "ufficiale" del rinvio d'ufficio dalla data di oggi (martedì) al giovedì in cui il nuovo Giudice terrà udienza.
Ma non avrebbero dovuto comunicarla al domicilio eletto ? Se un Avvocato, con vere e proprie acrobazie professionali, riesce ad essere presente oggi e solo dopo aver cercato inutilmente l'aula d'udienza si accorge della comunicazione, coma pensate possa sentirsi (magari con la consapevolezza di dover fare altri salti mortali per il giovedì successivo, e sempre che l'udienza si tenga) ?