09 aprile 2014

ATP ex art. 445 bis cpc: è mero "spezzone" di fattispecie complessa e al Giudice è inibito di operare preliminarmente verifiche di sorta sugli altri requisiti.

"E' stato emanato il 30 novembre 2012 il decreto di omologa da parte del Tribunale di Potenza, segno quindi che l'Istituto, come peraltro espressamente ammesso, non ha mosso contestazioni alla CTU. Nella  omologa delle conclusioni del CTU il giudice ha dato atto che l'ausiliare aveva accertato "la totale e permanente inabilità lavorativa del 100%, senza necessità di assistenza continua", e tale statuizione, sostiene l'Inps, sarebbe erronea, perchè non corrispondente al parere del consulente, che si era espresso sull'esistenza del requisito sanitario concernente la diversa prestazione richiesta, e cioè non già l'indennità di accompagnamento, ma l'assegno ordinario di invalidità di cui alla L. n. 222 del 1984, art. 1.

Si rileva che effettivamente il consulente aveva concluso testualmente nel senso che In definitiva l'obiettività clinica e le indagini strumentali, esibite all'atto della visita medica effettuata dai sanitari Inps e nel corso del presente incarico peritale, a mio parere, non determinavano e non determinano allo stato, una decurtazione della capacità lavorativa tale da permettere il riconoscimento dell'assegno ordinario di invalidità e giustificavano pertanto il giudizio di non invalidità espresso. Per quanto sopra, per effetto del complesso patologico accertato si ritiene che il ricorrente sia da ritenere non invalido all'epoca della visita di revisione da parte dei sanitari dell'Inps dell'ottobre 2011.

Vi è quindi una discrasia tra il parere del CTU ed il decreto di  omologa, che non assevera detto parere ma lo modifica, facendo riferimento a questione diversa da quella accertata dall'ausiliare.

La discrasia è irrilevante, dovendosi avere esclusivo riguardo alle conclusioni di cui alla consulenza.

Infatti, alla stregua del meccanismo prefigurato dalla legge che sopra si è illustrato, non possono che considerarsi del tutto ininfluenti i rilievi (eventualmente errati) del giudice contenuti nel decreto di omologa, perchè in detto provvedimento il giudice medesimo deve "necessariamente" limitarsi ad asseverare le conclusioni del CTU, e sono queste, e solo queste, che concludono la fase preliminare ove non siano state sollevate contestazioni.

In questo caso, si deve quindi interpretare il decreto di  omologa come conferma del parere espresso dal CTU, ossia il giudizio di non invalidità, ai fini del diritto all'assegno ordinario di invalidità, alla data della visita di revisione, mentre resta del tutto irrilevante la diversa indicazione fatta dal giudice nel medesimo decreto.

Con il primo motivo si lamenta in particolare che il giudice sarebbe incorso nella violazione dell'art. 324 cod. proc. civ. e dell'art. 2909 cod. civ. non avendo tenuto conto della eccezione di esso Istituto formulata nella memoria difensiva, di inammissibilità dell'azione per violazione del principio del "ne bis in idem" per essere ancora pendente davanti alla Corte d'appello di Potenza il giudizio avverso la sentenza del Tribunale di Melfi 466/2011 che aveva riconosciuto il diritto all'assegno ordinario di invalidità dal primo gennaio 2009, ossia la medesima prestazione di cui il M. aveva chiesto il ripristino dal novembre 2011 con il ricorso per ATP. 

Se lineamenti della procedura di cui all'art. 445 bis c.p.c. sono quelli sopra illustrati, il primo motivo del ricorso straordinario dell'Inps, sensi dell'art. 111 Costituzione, avverso il decreto di  omologa, non può che essere dichiarato inammissibile.

Non sono qui direttamente richiamabili i principi enunciati da questa Corte in tema di accertamento tecnico preventivo con finalità conciliativa di cui all'art. 696 bis c.p.c.. In relazione a detta disposizione si è ritenuto inammissibile il ricorso ex art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento connotato dal carattere della provvisorietà e strumentalità e che non pregiudica il diritto alla prova come previsto dall'art. 698 c.p.c. (Cass. SU, Ordinanza n. 14301 del 20/06/2007 e Sez. 6 Ordinanza n. 5698/2013).

Infatti, a differenza di quanto avviene in quel procedimento, in cui le conclusioni della consulenza preventiva non pregiudicano le questioni relative all'ammissibilità e rilevanza del mezzo di prova, nella fattispecie legale in esame l'accertamento dello stato invalidante, a seguito dell'omologa, non può più essere messo in discussione nell'eventuale nuovo giudizio che si può aprire per la concessione della prestazione.

Tuttavia detto primo motivo di ricorso proposto ex art. 111 Cost., è inammissibile, giacchè viene censurato un decreto e non una sentenza, ossia il decreto di omologa, che invero non regola i rapporti di dare e avere tra le parti, perchè nulla dice sul diritto dell'istante alla prestazione, ma si limita all'accertamento della invalidità, ossia all'accertamento di un mero "spezzone" della fattispecie complessa, che abbisogna dell'ulteriore fase di verifica dell'esistenza delle altre condizioni previste dalla legge per il diritto alla prestazione, fase che ancora non si è compiuta, di talchè non si è affatto concluso il giudizio sulla fondatezza della pretesa fatta valere.

Invero il ricorso straordinario in cassazione ex art. 111 Cost. è ammissibile nei confronti provvedimenti giurisdizionali emessi in forma di ordinanza o di decreto, solo quando essi siano definitivi e abbiano carattere decisorio, cioè siano in grado di incidere con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura "sostanziale"; devono cioè essere idonei a risolvere il conflitto tra le parti in ordine al diritto soggettivo dell'una o dell'altra (cfr. Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 15949 del 20/07/2011 e Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2757 del 23/02/2012).

Il decreto di  omologa del requisito sanitario non incide sulle situazioni giuridiche soggettive perchè non conferisce nè nega alcun diritto, dal momento che non statuisce sulla spettanza della prestazione richiesta e sul conseguente obbligo dell'Inps di erogarla.

Infatti il decreto di omologa della relazione peritale riconosce solo l'esistenza dello stato invalidante, mentre per il diritto alla prestazione, quando l'Istituto, all'esito della verifica di cui è incaricato, non proceda al pagamento, si apre il giudizio distinto cui sopra si è fatto cenno, in cui dovranno essere esaminate tutte le questioni che l'Inps propone con il presente ricorso. Sarà dunque in quella sede che l'Istituto potrà far valere i vizi che qui denunzia, come la mancanza della domanda amministrativa e l'esistenza del procedimento davanti alla Corte d'appello di Potenza, che avrebbe il medesimo oggetto, con conseguente preclusione per il divieto del ne bis in idem.

D'altra parte, contrariamente a quanto sostiene l'Inps, la strada tracciata dal legislatore è obbligata: è improcedibile il ricorso inteso ad ottenere prestazioni previdenziali e assistenziali se non preceduto all'accertamento tecnico preventivo "obbligatorio".

Il giudice adito con la istanza per ATP null'altro è legittimato a fare se non a procedere alla consulenza e gli è inibito di operare preliminarmente verifiche di sorta sugli altri requisiti, giacchè il legislatore pone l'ATP come fase preliminare in cui passare "necessariamente", quali che siano gli ostacoli che, nelle singole fattispecie, precluderebbero comunque il diritto alla prestazione richiesta. Ciò si giustifica, nella logica del legislatore, con l'intento di far sì che le questioni sanitarie vengano decise esclusivamente e definitivamente in primo grado, con il decreto di  omologa o con la sentenza, precludendo che vengano rimesse in discussione in appello, evidentemente confidando che ciò conduca ad una più rapida definizione delle relative controversie, nella convinzione che l'elemento sanitario, nella gran parte dei casi, assume rilievo risolutivo, e ciò anche scontando l'inconveniente per cui, talvolta, può essere antieconomico, quanto ai tempi ed al dispendio di spese, decidere sulle condizioni sanitarie al cospetto di elementi che già, prima facie, rendano ben edotti che la prestazione non sarebbe comunque conseguibile."

Cass. civ. Sez. VI - Lavoro, Sent., 17-03-2014, n. 6085