30 aprile 2013

Compensi professionali illiquidi e competenza territoriale


Sostiene parte ricorrente che, a norma dell'art. 1182 c.c., comma 4, la competenza territoriale ad emettere il D.I. opposto è quella del Giudice di Pace di Catania, ove l'opponente aveva la residenza al tempo sia della liquidazione dei compensi da parte del consiglio dell'ordine, sia dell'emissione e notifica del D.I..

Il motivo è fondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte infatti, il compenso per prestazioni professionali, che non sia convenzionalmente stabilito, è un debito pecuniario illiquido, da determinare secondo la tariffa professionale; ne consegue che il foro facoltativo del luogo ove deve eseguirsi l'obbligazione (art. 20 c.p.c., seconda ipotesi) va individuato, ai sensi dell'art. 1182 c.c., u.c., nel domicilio del debitore in quel medesimo tempo (Cass., 12 ottobre 2011, n. 21.000).

L'impugnata sentenza ha correttamente affermato che la dichiarazione del creditore e il parere del Consiglio dell'Ordine non equivalgono a liquidazione del credito e che pertanto, trattandosi di credito illiquido, la competenza si radica nel luogo in cui l'obbligazione deve essere eseguita, ossia nel domicilio del debitore (art. 1182 c.c., u.c.) e non in quello del creditore (art. 1182 c.c., comma 3).

Ha tuttavia errato perchè non ha tenuto conto che la residenza della debitrice R.F. si trova a (OMISSIS), proprio nel luogo in cui le è stato notificato il decreto ingiuntivo.

Pertanto competente per territorio è il Giudice di Pace di Catania.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 12-03-2013, n. 6096

Lesione della reputazione professionale e determinazione del danno


Il terzo motivo del ricorso principale è fondato.

La Corte d'appello, nell'accogliere la domanda di risarcimento del danno, ha fornito la motivazione seguente: "Per quanto riguarda la quantificazione del danno, da liquidarsi in via equitativa da questo Collegio, appare equo un risarcimento Euro 15.000, tenuto conto sia dell'azione di disturbo posta in essere dalla ditta Della Toffola nei singoli affari indicati che nel danno all'immagine commerciale patito dalla Velo presso i propri clienti".

Tale motivazione non da in alcun modo conto della esistenza effettiva del danno prima di procedere alla sua liquidazione in via equitativa.

Questa Corte ha già chiarito che, provata la lesione della reputazione professionale ovvero commerciale, poichè il danno risarcibile a norma dell'art. 2043 cod. civ., è il danno - conseguenza patrimoniale, occorre provare che detta lesione abbia cagionato una perdita patrimoniale, senza la quale il risarcimento manca di oggetto. (Cass. 6507/01; Cass. 20120/09). A tal fine è necessario provare la gravità della lesione e la non futilità del danno, da provarsi anche mediante presunzioni semplici, fermo restando, tuttavia, l'onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali possa desumersi l'esistenza e l'entità del pregiudizio (Cass. 2226/12).

La Corte d'appello avrebbe dovuto quindi motivare sulle conseguenze patrimoniali subite dalla resistente in conseguenza del danno all'immagine ovvero alla reputazione commerciale subito.

Il motivo va quindi accolto.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 08-03-2013, n. 5848


Costituzione coattiva di servitù di passaggio ex art. 1052 c.c.


La doglianza è fondata.

Occorre in premessa rilevare che secondo la giurisprudenza di questa Corte, la costituzione coattiva di una servitù di passaggio, ai sensi dell'art. 1052 c.c., a favore di fondo non intercluso, postula la rispondenza della relativa domanda alle esigenze dell'agricoltura o dell'industria. Tale requisito perciò trascende gli interessi individuali e giustifica l'imposizione coattiva solo se rispondente all'interesse generale della produzione, da valutare non già in astratto, ma con riguardo allo stato attuale dei fondi e alla loro concreta possibilità di un più ampio sfruttamento o di una migliore utilizzazione (Cass. n. 21597 del 15/10/2007; Cass. n. 16970 del 17.8.2005; Cass. Sez. 2, n. 281 del 14/01/1997; Cass. n. 7000 del 23.5.2001; Cass. n. 15110 del 22.11.2000). Ciò posto si deve ritenere che il giudice dell'impugnazione non si sia attenuto a tali consolidati e condivisibili principi ed è perciò evidente l'errore della decisione impugnata che ha disposto la costituzione di tale servitù coattiva pur sapendo che il fondo degli attori era in atto e da un ventennio del tutto inutilizzato, senza dunque che ci fosse alcuna reale possibilità di incremento della produzione agricola o industriale, cosi cerne previsto dall'art. 1052 c.c. ai fini dell'imposizione di un considerevole aggravio al fondo servente, giustificabile solo dall'interesse generale della produzione. A questo riguardo non può essere condiviso l'assunto del tribunale pèrche irrilevante ai fini del decidere, secondo cui l'unica forma di utilizzo e di valorizzazione economica del fondo era "quantomeno in linea presuntiva" quella agricola indicata dagli attori, che sarebbe stata favorita dall'impiego di mezzi meccanici e che la riclassificazione urbanistica dell'area, destinata dal nuovo PRG a parco giochi per l'infanzia con spazio adiacente adibito a parcheggio, offriva validi argomenti a sostegno della costituzione della servitù. Invero se la ratio della norma di cui all'art. 1052 c.c. è quella di agevolare l'incremento della produzione agricola, ciò presuppone necessariamente che vi siano colture in atto o comunque che il fondo sia in concreto utilizzato a fini produttivi;

Cass. civ. Sez. II, Sent., 07-03-2013, n. 5765


Nullità e inesistenza della notifica dell'atto introduttivo: regime delle prove


L'impugnazione è ammissibile. Infatti, questa Corte ha già avuto occasione di affermare che per stabilire se sia ammissibile un'impugnazione tardivamente proposta, sul presupposto che l'impugnante non abbia avuto conoscenza del processo a causa di un virgo della notificazione dell'atto introduttivo, occorre distinguere due ipotesi: se la notificazione è inesistente, la mancata conoscenza della pendenza della lite da parte del destinatario si presume "iuris tantum", ed è onere dell'altra parte dimostrare che l'impugnante ha avuto comunque contesa del processo; se invece la notificazione è nulla, si presume "iuris tantum" la conoscenza della pendenza del processo da parte dell'impugnante, e dovrà essere quest'ultimo a provare che la nullità gli ha impedito la materiale conoscenza dell'atto. (Sez. 3, Sentenza n. 18243 del 03/07/2008, Rv. 605008).

Tale orientamento è condiviso da questo Collegio. Nel caso in esame occorre rilevare che la notifica è da considerarsi inesistente. Al riguardo, questa Corte ha già ritenuto, con affermazione condivisa da questo Collegio, che la notificazione debba considerarsi inesistente, quando è eseguita in luogo o con consegna a persona, che non hanno alcun collegamento col destinatario della notifica, sicchè v'è una presunzione che la parte non abbia potuto avere conoscenza dell'atto a lei indirizzato (in tema di distinzione tra notificazione nulla e notificazione inesistente, vedi di recente Sez. Un. 29 aprile 2008 n. 10817; sullo stesso tema, in rapporto alla prova della conoscenza del processo in sede di applicazione dell'art. 327 c.p.c., comma 2, vedi Cass. 22 maggio 2006 n. 11991; e, infine, in rapporto alla decorrenza del termine di cui all'art. 325 c.p.c.: Sez. Un. 22 giugno 2007 n. 14570). Nel caso in questione, la notifica fu effettuata, ai sensi dell'art. 140 c.p.c., ad un indirizzo ( (OMISSIS)) diverso da quello della sua residenza ((OMISSIS)) come da certificato storico-anagrafico prodotto, in luogo cioè privo di qualsiasi collegamento con la ricorrente.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 07-03-2013, n. 5763


Litisconsorzio necessario dei condòmini


Questa Corte ha già ritenuto, con affermazione condivisa da questo Collegio, che "in tema di condominio degli edifici, ove alcuni condomini, convenuti per l'accertamento della proprietà comune di un bene, propongano domanda riconvenzionale di accertamento della proprietà esclusiva, in base ai titoli o per intervenuta usucapione, dev'essere disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, configurandosi un'ipotesi di litisconsorzio necessario, in quanto viene dedotto in giudico un rapporto plurisoggettivo unico e inscindibile" (Sez. 2, Sentenza n. 19385 del 08/09/2009, Rv. 609963).

Cass. civ. Sez. II, Sent., 07-03-2013, n. 5762


Condominio e amministratore


Al riguardo, questa Corte, a Sezioni Unite (Cass. Sez. U, Sentenza n. 18331 del 06/08/2010, Rv. 614419) ha avuto occasione di affermare quanto segue.

Dal sistema normativo emerge che l'amministratore di condominio non è un organo necessario del condominio. L'art. 1129 c.c. espressamente richiede la nomina di un amministratore solo quando il numero di condomini sia superiore a quattro.

Ne consegue che in materia di condominio negli edifici, l'organo principale, depositario del potere decisionale, è l'assemblea dei condomini, così come in materia di comunione in generale il potere decisionale e di amministrazione della cosa comune, spetta solo ed esclusivamente ai comunisti (art. 1105 c.c.) e la nomina di un amministratore cui "delegare" l'esercizio del potere di amministrazione è ipotesi meramente eventuale (art. 1106 c.c.).

La prima, fondamentale, competenza dell'amministratore consiste nell'"eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condomini" (art. 1130 c.c., comma 1, n. 1). Da tale disposto si evince che l'essenza delle funzioni dell'amministratore è imprescindibilmente legata al potere decisionale dell'assemblea: è l'assemblea l'organo deliberativo del condominio e l'organo cui compete l'adozione di decisioni in materia di amministrazione dello stesso, mentre l'amministratore riveste un ruolo di mero esecutore materiale delle deliberazioni adottate in seno all'assemblea. Nessun potere decisionale o gestorio compete all'amministratore di condominio in quanto tale (e ciò a differenza di quanto accade nelle società, sia di persone che di capitali, dove all'amministratore competono poteri propriamente gestionali). Anche l'art. 1131 c.c., nell'attribuire all'amministratore di condominio un potere di rappresentanza dei condomini e di azione in giudizio, chiarisce che tale potere è conferito "Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'articolo precedente o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea". Ancora una volta, quindi, si legano i poteri dell'amministratore di condominio alle deliberazioni dell'assemblea, proprio a voler sottolineare la derivazione e subordinazione degli stessi alle decisioni dell'organo assembleare.

L'art. 1131 c.c., comma 2, prevede poi che l'amministratore possa essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio. Mentre il comma 3 aggiunge che qualora la citazione abbia contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell'amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio comunicazione all'assemblea.

Detta normativa è stata interpretata, secondo prevalente e risalente orientamento, come affermazione di un autonomo potere dell'amministratore di essere destinatario di atti processuali, nonchè del potere di costituirsi in giudico e di impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente, se rientranti nelle sue attribuzioni, posto che la norma dell'art. 1131 c.c., comma 3, sembrerebbe richiedere la necessità di una comunicazione all'assemblea solo nel caso di materie non rientranti nelle attribuzioni dell'amministratore. Secondo altri, va intesa come espressione dell'esigenza di facilitazione dei rapporti tra terzi e condominio. La citazione notificata all'amministratore consente di risolvere le problematiche connesse ad una eventuale notificazione individuale ai singoli condomini, soprattutto nei condomini di notevoli dimensioni.

Tale normativa deve essere tuttavia correttamente interpretata alla luce dei principi generali e, soprattutto, del ruolo e delle competenze dell'amministratore di condominio, nonchè in base al diritto di dissenso dei condomini rispetto alle liti (art. 1132 c.c.). L'amministratore, come detto, non ha autonomi poteri, ma si limita ad eseguire le deliberazioni dell'assemblea ovvero a compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio (art. 1130 c.c.).

Ne consegue che, anche in materia di azioni processuali, il potere decisionale spetta solo ed esclusivamente all'assemblea che dovrà deliberare se agire in giudizio, se resistere e se impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente. Un tale potere decisionale non può competere all'amministratore che, per sua natura, non è un organo decisionale ma meramente esecutivo del condominio. Ove tale potere spettasse all'amministratore, questi potrebbe anche autonomamente non solo costituirsi in giudizio ma anche impugnare un provvedimento senza il consenso dell'assemblea e, in caso di ulteriore soccombenza, far sì che il condominio sia tenuto a pagare le spese processuali, senza aver in alcun modo assunto decisioni al riguardo.

Tale soluzione non solo contrasta con il principio che unico organo decisionale nel condominio è l'assemblea, ma conculca anche il diritto dei condomini di dissentire rispetto alle liti (art. 1132 c.c.). La mancata convocazione dell'assemblea per l'autorizzazione ovvero per la ratifica dell'operato dell'amministratore vanifica ogni possibilità di esercito del diritto al dissenso alla lite che la legge espressamente riconosce ai condomini.

L'attribuizione in capo all'assemblea di condominio del potere gestorio e, quindi, della decisione se resistere in giudico o impugnare la sentenza sfavorevole, per cui occorre che l'amministratore sia autorizzato a tanto, va tuttavia raccordata con la legittimazione passiva generale attribuita all'amministratore dall'art. 1131 c.c., comma 2. Invero, tale legittimazione rappresenta il mezzo procedimentale per il bilanciamento tra l'esigenza di agevolare i terzi e la necessità di tempestiva (urgente) difesa (onde evitare decadenze e preclusioni) dei diritti inerenti le parti comuni dell'edificio, che deve ritenersi immanente al complessivo assetto normativo condominiale. Pertanto, l'amministratore convenuto può anche autonomamente costituirsi in giudizio ovvero impugnare la sentenza sfavorevole, nel quadro generale di tutela (in via d'urgenza) di quell'interesse comune che integra la ratio della figura dell'amministratore di condominio e della legittimazione passiva generale, ma il suo operato deve essere ratificato dall'assemblea, titolare del relativo potere, lui ratifica, che vale a sanare con effetti ex tunc l'operato dell'amministratore che abbia agito senza autorizzazione dell'assemblea, è necessaria sia per paralizzare la dedotta eccezione di inammissibilità della costituzione in giudizio o dell'impugnazione, sia per ottemperare al rilievo ufficioso del giudice che, in tal caso, dovrà assegnare, ex art. 182 c.p.c., un termine all'amministratore per provvedere. Tali principi sono condivisi dal Collegio, che rileva che nel caso in esame l'iniziativa dell'impugnazione della sentenza della Corte di appello è stata assunta dall'amministratore, che ha conferito la procura speciale, mentre manca agli atti la delibera assembleare, anche a ratifica.

Di conseguenza, va disposto il rinvio a nuovo ruolo della trattazione dei ricorsi per consentire all'amministratore di produrre la deliberazione assembleare anche a ratifica, dovendosi in mancanza dichiarare l'inammissibilità del ricorso.

Cass. civ. Sez. II, Ord., 07-03-2013, n. 5761


02 aprile 2013

Risoluzione del contratto - contratti ad esecuzione continuata o periodica


La Corte di appello di Palermo ha ritenuto applicabile l'art. 1458 c.c. prima parte, a mente del quale la risoluzione del contratto per inadempimento non ha effetto retroattivo tra le parti "nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l'effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite".

Tale fattispecie normativa si realizza, secondo la Corte territoriale, nei contratti in cui l'esecuzione ha luogo per coppie di prestazioni da eseguirsi contestualmente e con funzione corrispettiva. Solo in tal caso non opererebbe l'effetto risolutorio, creandosi altrimenti sovrapposizione tra azione di risoluzione e azione di adempimento della specifica prestazione. Pertanto ad avviso della Corte peloritana il creditore che ha prescelto la via della risoluzione del rapporto non può pretendere l'adempimento di una prestazione che "per il fatto di essere ancora ineseguita, rende non esaurito il relativo rapporto e possibili i conseguenti effetti restitutori".

Il Collegio non reputa corretta la soluzione adottata dalla sentenza impugnata, che non sfugge alla censura.

Ai sensi dell'art. 1458 cod. civ., comma 1 operante laddove si riconduca il rapporto fra i contratti ad esecuzione continuata o periodica, deve ritenersi che il creditore adempiente, il quale opti per la risoluzione a fronte dell'inadempimento dell'altra parte, mentre non può reclamare il pagamento di prestazioni successive, conserva il diritto a ricevere le controprestazioni delle prestazioni da lui stesso in precedenza eseguite (Cass. 7556/92).

In sostanza nei contratti ad esecuzione periodica o continuata, l'effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite (art. 1458 c.c., comma 1), per tali intendendosi quelle con le quali il debitore abbia pienamente soddisfatto le ragioni del creditore (Cass. 10383/98), ipotesi che non si è verificata nella specie.

Proprio con riferimento a un'altra prestazione nell'ambito del medesimo rapporto, questa Corte (Cass., 1 Sez., 20516/11) ha chiarito che il valore abdicativo della domanda di risoluzione del contratto rispetto alla domanda di adempimento, ai sensi dell'art. 1453 c.c., comma 2, riguarda la sola parte del rapporto per la quale è logicamente configurabile una scelta su un piano di alternatività tra risoluzione e adempimento, essendo i contraenti ancora su una posizione di parità, a fronte di prestazioni e controprestazioni ineseguite, mentre non riguarda quella parte del rapporto che rimane insensibile alla vicenda risolutiva in quanto vi è stato un adempimento, sia pure da parte di uno dei contraenti.

Nel caso in esame, in cui, per sua natura, secondo la prospettazione ipotizzata in atti, non è possibile la restituzione della prestazione erogata (relativa all'appalto di servizi pubblicitari e in genere promozionali che è configurato), il soggetto adempiente ha pertanto diritto di conseguire l'adempimento della controprestazione, che è il modo più diretto per ripristinare l'equilibrio negoziale, salvo l'effetto risolutorio per la parte di rapporto ancora ineseguita. Resta pertanto divisibile l'effetto contrattuale ed esclusa la retroattività della risoluzione quando sia compromessa la possibilità di ricostituire il suddetto equilibrio mediante le restituzioni.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 07-03-2013, n. 5751

L'incollocato ai sensi della L. 118/71


Nel decidere la causa, il giudice del rinvio accerterà anche l'esistenza dei cd. requisiti socioeconomici (requisito reddituale, incollocazione) che, in tema di pensione di inabilità e di assegno di invalidità previsti dalla L. n. 118 del 1971, artt. 12 e 13, integrano elementi costitutivi del diritto fatto valere dall'interessato, tenendo conto che, nella vigenza della normativa in materia di collocamento degli invalidi di cui alla L. n. 482 del 1968, applicabile la prevalente (e condivisa) giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che per "incollocato", ai sensi della L. n. 118 del 1971, ricordato art. 13, deve intendersi colui che abbia adempiuto l'onere di un comportamento teso al fine del "collocamento" e, ciò nonostante, sia rimasto inoccupato, cosicchè tale comportamento si sostanzia nell'attivazione dei meccanismi previsti dalla L. n. 482 del 1968 e, quindi, nell'iscrizione (o nella domanda d'iscrizione) nelle liste speciali di collocamento degli invalidi (cfr. ex plurimis Cass. sez. unite n. 203/92; Cass. n. 1096/2003; Cass. n. 4067/2002, Cass. n. 2628/2001, che, in particolare, pone in luce come, dato che l'iscrizione nelle liste speciali presuppone un accertamento della riduzione della capacità lavorativa da parte delle competenti commissioni e che, quindi, la tutela potrebbe venir meno per il periodo intercorrente dalla domanda di accertamento di quella situazione medico-legale a quella della effettiva iscrizione nelle predette liste, sia sufficiente che l'interessato presenti la domanda di iscrizione). Nell'ipotesi di invalido che abbia superato i 55 anni (ma non i 65) e che non ha più diritto ad essere iscritto nelle liste di collocamento obbligatorio, invece, il requisito della in-collocazione al lavoro coincide con uno stato di effettiva disoccupazione, che deve essere provato con gli ordinari mezzi di prova, comprese le presunzioni (cfr. giurisprudenza già citata).

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 01-03-2013, n. 5141


Appello - litisconsorzio - interruzione del processo


Ciò premesso, osserva il Collegio che la doglianza così come è stata formulata non ha pregio. In effetti, la morte dell'attore tra l'udienza di discussione ed il deposito della sentenza non produce alcun effetto interruttivo (art. 300 c.p.c., u.c.), anche se impone la citazione in giudizio di tutti gli eredi del defunto (Cass. n. 26279/2009). La costituzione di due degli eredi entro l'anno del deposito della sentenza (tempestiva in quanto la notifica della sentenza fatta dal procuratore del defunto non era idonea a far decorrere il termine breve d'impugnazione) ha sanato ai sensi dell'art. 164 c.p.c. gli effetti sostanziali e processuali dell'atto d'appello, nullo in quanto diretto all'attore e non ai suoi eredi (art. 163 c.p.c., n. 2 e art. 164 c.p.c., comma 1). Questa S.C. ha statuito al riguardo che: "Qualora la notificazione dell'atto di appello sia stata effettuata nei confronti del procuratore domiciliatario della parte deceduta nel corso del giudizio di primo grado, nonostante che dell'evento fosse a conoscenza la controparte, e non già nei confronti degli eredi, soggetti legittimati ad assumere la qualità di parte nel giudizio di gravame, la nullità dell'impugnazione, affetta da vizio relativo alla vocatio in jus per omissione del requisito di cui all'art. 163 c.p.c., comma 3, n. 2, è sanata con efficacia ex tunc, ai sensi dell'art. 164 c.p.c., nel testo novellato dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, dalla costituzione degli eredi nel giudizio d'appello, con la conseguenza che gli effetti di tale costituzione risalgono sino al momento della notificazione dell'atto di appello, impedendo il passaggio in giudicato della decisione impugnata" (Cass. Sez. 2, n. 23522 del 19/11/2010). Ciò premesso rileva il Collegio che la dichiarazione da parte dei due eredi costituiti dell'esistenza di altri eredi di cui ha indicato i nomi (moglie C.L. e figlio P. S.) e che ha identificato con la produzione di un atto notorio.

ha posto comunque in rilevo una violazione di legge (rilevabile ex officio) in cui è incorso il giudice d'appello per non avere integrato il contraddittorio ex art. 331 c.p.c., sussistendo un'ipotesi di litisconsorzio necessario tra tutti gli eredi di P.V.. Ciò comporta la cassazione della sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Firenze per l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi pretermessi. Gli altri motivi del ricorso rimangono assorbiti (motivo n. 2: la violazione dell'art. 1362 c.c., art. 1414 c.c., comma 2, artt. 1453, 1552 e 1704 c.c.; motivo n. 3: la violazione dell'art. 1177 c.c., dell'art. 1219 c.c., comma 2 e art. 1220 c.c.). Il giudice del rinvio si dovrà pronunciare anche sulle spese di questo grado di legittimità.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 28-02-2013, n. 5058


Imputazione del pagamento


Il motivo è fondato.

Il debitore ha pagato, con assegno, una somma imputandola ad acconti per debiti condominiali per specifiche annualità, mentre non intendeva estinguere il preteso credito per lavori straordinari che era contestato e a tal fine aveva esercitato la facoltà di imputazione che è riconosciuta dall'art. 1193 c.c. e intendendo estinguere fino ad un determinato importo il debito per alcune annualità, sussistendo controversia per il residuo e non intendendo estinguere, perchè ritenuto non dovuto, il credito per spese straordinarie.

Il giudice di appello ha espressamente negato la facoltà di imputazione sull'assunto che il credito trovasse fondamento in un'unica causa, costituita dall'obbligo di contribuzione alle spese, richiamando la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 3077/98);

effettivamente questa Corte ha affermato che la questione della imputazione del pagamento non è proponibile quando sussista un unico debito, ma regola l'ipotesi di pluralità di crediti fra le stesse parti, aventi titolo e causa diversi (Cass. 30777/98; Cass. 2813/94; Cass. 12938/93) e ha lo scopo di eliminare l'incertezza circa la sorte degli stessi. Questa giurisprudenza non è tuttavia pertinente alla fattispecie nella quale era contestato proprio il credito per spese straordinarie e parte del credito per spese ordinarie che il condomino non intendeva pagare, mentre con la sentenza impugnata si è inammissibilmente negata al debitore la facoltà di impedire l'imputazione ad un credito che invece era contestato e che il debitore aveva affermato non già di volere pagare in acconto, ma di non volere pagare affatto.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 28-02-2013, n. 5038


Preliminare di vendita e abusività dell'immobile


In definitiva occorre affermare il seguente principio di diritto:

concluso tra le parti un contratto preliminare diretto alla stipulazione di un definitivo avente ad oggetto il trasferimento di un immobile, la pattuizione, nell'atto di programmazione preparatoria, di una clausola escludente la risoluzione per colpa del promettente venditore, pur quando risulti l'insanabilità urbanistica del bene oggetto del contratto, non vale, di per sè, a rendere il preliminare un contratto aleatorio. Peraltro, l'abusività dell'immobile per mancato rilascio della concessione preclude, per impossibilità sopravvenuta, la stipulazione del definitivo, e quindi legittima il promissario acquirente a richiedere al promettente la restituzione della caparra che abbia versato in occasione del preliminare, essendo la ritenzione di questa divenuta senza titolo.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 28-02-2013, n. 5033


Riunione delle cause - elezione domicilio del legale fuori sede


Il motivo è fondato.

Ai sensi del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82, i procuratori che esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati, devono, all'atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l'autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, e, in mancanza della elezione di domicilio, questo si intende eletto presso la cancelleria della stessa autorità giudiziaria. Il sopravvenuto mutamento di tale domicilio è valido ed operante, al fine della notificazione presso il nuovo indirizzo dei successivi atti del processo, alla duplice condizione che il procuratore assuma una iniziativa idonea a portare a conoscenza della controparte detto mutamento e che tale iniziativa si esteriorizzi in modo formale, con una dichiarazione esplicita, contenuta nel verbale di udienza, o con la notificazione di apposito atto.

Tali requisiti non sussistono nel caso in cui il domicilio venga eletto all'atto della costituzione in altro successivo giudizio, anche se di esso venga chiesta la riunione al precedente, poichè il provvedimento discrezionale e temporaneo di riunione lascia immutata l'autonomia dei singoli giudizi e della posizione delle parti in ciascuno di essi, e non pregiudica la sorte delle singole azioni. Ed infatti la sentenza che decide simultaneamente le cause riunite, pur essendo formalmente unica, si risolve in altrettante pronunce quante sono le cause decise, e ciascuna pronuncia è impugnabile con il mezzo che le è proprio (v., tra le altre, Cass., sentt. n. 2425 del 1988, n. 12742 del 1999, n. 15954 del 2006, n. 6951 del 2011).

Cass. civ. Sez. II, Sent., 28-02-2013, n. 5031


Contumace vittorioso e spese legali


Costituisce, infatti, principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte al quale si ritiene di dare continuità, l'affermazione che la condanna alle spese processuali non può essere pronunciata in favore del contumace vittorioso, che non ha svolto, come nel caso di specie, alcuna attività processuale (cfr. Cass. n. 17432 del 2011, n. 43 del 1999, n. 9419 del 1997, n. 11803 del 1993). Non essendo necessari accertamenti in fatto, può provvedersi ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civ..

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 28-02-2013, n. 4991


Notificazioni - art. 140 cpc e D.P.R. 602/73


Con l'unico motivo, la contribuente censurava la sentenza à sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 3, oltrechè dell'art. 140 c.p.c., nonchè, infine, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), da interpretarsi nel senso che, in ipotesi "irreperibilità relativa" dall'abitazione, come nella specie avvenuto, giacchè la contribuente era soltanto momentaneamente assente, la regola di notifica da seguire fosse quella di cui all'art. 140 c.p.c., di affissione dell'avviso alla porta di abitazione, mentre, invece, la regola di affissione dell'avviso presso la casa comunale, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), giusto rinvio D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26, comma 3, fosse da seguirsi esclusivamente in caso di "irreperibilità assoluta", pena l'inesistenza della notifica stessa. L'illustrazione del motivo, terminava col quesito: "Vero che secondo il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 3, nei casi di "irreperibilità relativa", quando cioè il destinatario, pur non rinvenuto, non si è trasferito, la cartella di pagamento deve esser notificata à sensi dell'art. 140 c.p.c., quindi con affissione dell'avviso di deposito presso la pota di abitazione. Vero al contrario che secondo il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 3, nei casi di "irreperibilità assoluta", quando cioè vi sia stato trasferimento in luogo sconosciuto, la cartella di pagamento va notificata à sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), (che prevede l'affissione dell'avviso di deposito presso la casa comunale). Vero infine che nel caso in cui l'irreperibilità del destinatario sia "relativa", la notifica della cartella di pagamento effettuata à sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), e quindi con affissione dell'avviso di deposito presso la casa comunale (e non presso l'abitazione del destinatario), è inesistente, e quindi insanabile".

Nelle more, Corte Cost. n. 258 del 2012 dichiarava l'incostituzionalità, nel senso invocato dalla contribuente, del comma 3, attualmente corrispondente al comma 4, del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e, cioè, nella parte in cui stabilisce che la notificazione della cartella di pagamento, nei casi previsti dall'art. 140 c.p.c., si esegue con le modalità stabilite dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, anzichè nei soli casi in cui nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi sia abitazione, ufficio o azienda del destinatario.

Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-02-2013, n. 4940