30 marzo 2012

Necessità di un esame della costituzionalità dell'art. 139 del codice delle assicurazioni


"Non resta a questo punto che chiedersi se l'importo come sopra conteggiato per il danno biologico a sensi dei criteri dell'art. 139 del d.lgs. n. 209 del 2005 e dei valori economici adeguati con il d.m. del 17 giugno 2011 possa venir considerato satisfattivo o meno. Occorre in sostanza chiedersi se l'incremento dell'importo tabellare consentito dal comma 3 del richiamato articolo 139 possa, con l'importo previsto dalla tabella, considerarsi adeguato risarcimento del caso concreto con adeguata personalizzazione del danno biologico in funzione delle condizioni soggettive dell'infortunato.


La liquidazione del danno alla persona effettuata sulla base dei criteri di cui all'art. 139 cod. assic. è oggettivamente insufficiente e contraria all'equità.


In ordine all'utilizzo delle tabelle di legge per il risarcimento dei danni da micropremanenti conseguenti alla circolazione dei veicoli è da rilevare come la Suprema Corte (per tutte, con la sentenza n. 12408/2011) abbia precisato testualmente: “Quante volte, dunque la lesione derivi dalla circolazione di veicoli a motore e di natanti, il danno non patrimoniale da micro permanente non potrà che essere liquidato, per tutti i pregiudizi areddittuali che derivino dalla lesione del diritto alla salute entro i limiti stabiliti dalla legge mediante il rinvio al decreto annualmente emanato dal Ministro delle Attività Produttive (ex art. 139, comma 5), salvo l'aumento da parte del giudice, «in misura non superiore ad un quinto con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato» (art. 139, comma 3).
Con tali premesse è la Suprema Corte ad aver evidenziato le ragioni dell'insufficienza del risarcimento secondo i valori dell'art 139 cod. assic., venendo, di fatto, chiarito che l'equità sta nei livelli di risarcimento delle tabelle milanesi. La Cassazione prende poi atto che l'art. 139 costituisce comunque il limite stabilito dalla legge, per il risarcimento del danno non patrimoniale anche con riguardo al pregiudizio di tipo morale. Ma in tal modo si evidenzia anche la contrapposizione che si viene a porre tra la liquidazione dei danni alla persona conseguenti alla circolazione dei veicoli e dei natanti e gli altri e tale squilibrio è contrario all'equità dal momento che il risarcimento deve tendere a fissare parametri uguali per tutti.


IMPOSSIBILITA' DI UN'INTERPRETAZIONE COSTITUZIONALMENTE ORIENTATA DELLA NORMA


L'articolo 139 del d.l.vo n. 209/2005 segue di fatto quanto già previsto dall'articolo 5 della legge n. 57/2001, come modificato dall'articolo 23 della legge 12/12/2002 n. 273, che aveva il chiaro intento di contenere i costi del servizio assicurativo, intento che evidentemente si è inteso proseguire anche con il predetto articolo 139.
Il tentativo di procedere ad un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma non può allo stato, prescindere dagli attuali principi giurisprudenziali, quali recepiti dal diritto vivente ed indirizzati alla personalizzazione della liquidazione del singolo danno alla persona ed al suo intero ristoro cui tende appunto tale operazione, soprattutto con il ricorso al criterio equitativo (come evidenziato da Cass. n. 12408/2011 che a tal fine fa riferimento alle tabelle milanesi).
Ma l'art. 139 del d.l.vo n. 209/2005 non consente al Giudice alcuna possibilità di adeguare al caso concreto la sua liquidazione sia nei casi in cui gli importi previsti da detta norma risultino inferiori alla reale entità del danno sia nel caso in cui detti importi risultino invece superiori, non potendo, esso Giudice, intervenire in alcun modo, in quanto deve adottare un semplice calcolo matematico che lo limita nel suo potere equitativo. Peraltro è il caso di rilevare che il testo originario dell'articolo 5 della legge n. 57/2001 si limitava a precisare che "…il danno biologico viene ulteriormente risarcito tenuto conto delle condizioni soggettive del danneggiato" così consentendo un'adeguata personalizzazione del singolo danno e che solo con la modifica apportata a detta norma con l'articolo 23 della legge n. 273/2002 si è posto il limite di un quinto all'aumento relativo alle condizioni soggettive del danneggiato impedendo di fatto l'utilizzo del criterio equitativo quale ora evidenziato dalla Suprema Corte.
Non è poi da sottacere il fatto che l'attuale diritto vivente non consente più la liquidazione del danno morale in casi del genere di quello in esame e ciò ad evitare la duplicazione del risarcimento di danni già risarciti con il danno biologico quale definito dall'art. 139 cod. assic. per cui non è possibile, nel caso di specie, cercare di adeguare il risarcimento alla reale entità del danno quanto meno liquidando al danneggiato, in aggiunta ai valori del danno biologico tabellato dalla norma, quella ulteriore parte di danno corrispondente alla sofferenza dell'individuo che viene fatta rientrare nel danno biologico.
Si potrebbe allora cercare di giungere ad una liquidazione adeguata del danno sulla scorta delle allegazioni e prove fornite dal danneggiato al fine di individuare quella norma la cui violazione ha provocato un danno non patrimoniale ovviamente diverso dal danno biologico inteso nella sua più ampia accezione, operazione questa che per le micro permanenti, in genere, diventa di indubbia difficoltà se non impossibilità.


MOTIVI DI CONTRASTO CON NORME DI RANGO COSTITUZIONALE:


ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE DELL'ART. 139 DEL DECRETO LEGISLATIVO 7 SETTEMBRE 2005, N. 209 CON RIFERIMENTO AGLI ARTICOLI 2, 3, 24, 32, DELLA COSTITUZIONE NONCHÉ DEL PRINCIPIO DELLA RAGIONEVOLEZZA...


ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE DELL'ART. 139 DEL DECRETO LEGISLATIVO 7 SETTEMBRE 2005 N. 209 CON RIFERIMENTO ALL'ART. 76 DELLA COSTITUZIONE, PER LA PREVISIONE DI UN LIMITE NON PREVISTO DALLA LEGGE DELEGA 23/7/2003 N. 229 (eccesso di delega, n.d.a.)...


ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE DELL'ART. 139 DEL DECRETO LEGISLATIVO 7 SETTEMBRE 2005 N. 209 CON RIFERIMENTO AGLI ARTT. 2 E 8, E ART. 1 PROT. 1, DELLA CONVENZIONE EUROPEA PER LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL'UOMO...


[…]


Il Tribunale di TIVOLI, sezione civile, in persona del Giudice unico dott. Alessio Liberati nella sua funzione di giudice di appello, visti gli articoli 137 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1984 n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza,
- solleva questione di legittimità costituzionale dell'articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209 con riferimento agli articoli 2, 3, 24, 32, della Costituzione nonché del principio della ragionevolezza, nella parte in cui preclude l'integrale risarcimento del danno non patrimoniale arrecato alla sfera giuridica del soggetto leso, predeterminandone ex lege l'ammontare massimo risarcibile, e conseguentemente crea una disparità di trattamento nel ristoro del danno in base al diverso elemento causativo del danno;
- solleva questione di legittimità costituzionale dell'articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209 con riferimento agli all'art. 76 della Costituzione per eccesso di delega, nella parte in cui prevede parametri di legge vincolanti l'entità del risarcimento del danno da sinistro nautico o stradale,
- solleva questione di legittimità costituzionale dell'articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209 con riferimento agli artt. 3 e 8 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e dell'art. 1 prot. 1 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo, nella parte in cui preclude l'integrale risarcimento del danno non patrimoniale arrecato al bene (sfera giuridica del soggetto leso) tutelato dall'art. 2 della Convenzione EDU e dall'art. 1 prot. 1 della CEDU e conseguentemente crea una disparità di trattamento nel ristoro del danno subito - in base all'elemento causativo - all'interno del medesimo ordinamento nazionale, e nella parte in cui crea un ostacolo di fatto alla piena protezione del correlato diritto alla vita familiare e privata tutelati dagli artt. 3 e 8 della medesima Convenzione, così venendo meno agli obblighi positivi imposti dalla Convenzione EDU.


Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e sospende il giudizio in corso. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento."

Trib. Tivoli, Ord., 21-03-2012

29 marzo 2012

Poste Italiane S.p.A.: risarcimento danni e collegato lavoro


"...la Corte d'appello di Roma, con sentenza depositata il 9.11.09 n. 6593 accoglieva l'impugnazione "per quanto di ragione" e così statuiva "dichiara la nullità dei contratti a termine intercorsi tra l'appellante e Poste Italiane s.p.a., per i periodi 3.7-30.9.01 e 3- 31.5.99 e per l'effetto che sono intercorsi tra le parti più rapporti a tempo indeterminato nei periodi suddetti; dichiara la prosecuzione giuridica del rapporto dopo il 30.9.98, ancora a tutt'oggi; ..."


[...]


Tanto premesso per chiarire il contenuto della sentenza e la portata dei ricorsi, deve rilevarsi che nel merito la Corte d'appello - inquadrati ì contratti nell'ambito del sistema della L. n. 56 del 1987, art. 23, che aveva delegato le oo.ss. a individuare nuove ipotesi di assunzione a termine con la contrattazione collettiva - ha dichiarato la nullità del termine nel primo caso (contratto 9.7- 30.9.97 stipulato per assicurare il servizio nel periodo del godimento delle ferie da parte del personale a tempo indeterminato) per mancanza della prova dell'esistenza delle condizioni asseritamente giustificative, nel secondo caso (contratto 3-31-5.99 per esigenze eccezionali) perchè la norma collettiva consentiva l'assunzione a termine per le causali dedotte solo fino al 30.4.98. 


[...]


Con riferimento ad entrambe le fattispecie contrattuali prese in esame dalla Corte d'appello, deve rilevarsi che la giurisprudenza ritiene che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare - oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 - nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all'individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588).


[...]


Con il ricorso incidentale è censurata con undici motivi la parte della pronunzia che rigetta la richiesta di risarcimento danni.


La Corte d'appello, partendo dal presupposto che il risarcimento compete dal momento in cui il lavoratore ha offerto la sua prestazione al datore e fino alla scadenza del terzo anno successivo alla scadenza dell'ultimo rapporto, considerato che nella specie il datore fu costituto in mora il 4.11.02 a triennio già scaduto, considerato che l'ultimo (ed ora anche unico) contratto affetto da nullità era scaduto il 31.5.99, ha rigettato la richiesta di risarcimento del danno.


Con i primi dieci motivi la ricorrente incidentale contesta la violazione della normativa in punto di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale (motivi da 1 a 8), nonchè l'erroneità del giudizio equitativo adottato, atteso che le emergenze istruttorie consentivano una puntuale quantificazione del danno e che le parti non ne avevano fatto richiesta (violazione dell'art. 432 c.p.c., motivo n. 9, e violazione dell'art. 114 c.p.c., motivo n. 10). Con l'ultimo motivo (il n. 11) la ricorrente incidentale deduce, in extrema ratio la violazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, atteso che il giudice comunque avrebbe dovuto concedere a titolo di risarcimento l'indennità ivi prevista.


Con riferimento ai primi dieci motivi, deve rilevarsi che la giurisprudenza della Corte di cassazione ha più volte ritenuto incongruo l'iter argomentativo oggi adottato dalla Corte d'appello di Roma, rilevando che così argomentando il giudice non ha motivato (se non in termini meramente formali) nè la decisione di determinare in via equitativa il danno risarcibile, ne la decisione di limitare il risarcimento ai tre anni successivi alla scadenza dell'ultimo contratto, di modo che in conformità ad altre precedenti pronunzie di queste Cotte emanate con riferimento a censure mosse al criterio risarcitorio adottato nella specie dal giudice di merito (v. per tutte Cass. 1.10.07 n. 20606), deve rilevarsi la fondatezza dei motivi in questione.


Quanto all'undicesimo motivo del ricorso incidentale, deve considerarsi lo ius superveniens contenuto nella L. 4 novembre 2010, n. 183 (c.d. collegato lavoro), pubblicata sulla (Gazzetta ufficiale 9.11.10 n. 262 (suppl. ord. 243/L) ed in vigore dal 24.11.10. La disposizione dell'art. 32, comma 5, di detta legge, prevede che "nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8". Il successivo c. 7 prevede che tale disposizione trova applicazione anche ai giudizi pendenti alla data della vigore della legge.


La disposizione è stata ritenuta conforme al dettato costituzionale dalla sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 2011. 15.- in conclusione, vanno accolti il ricorso principale nei limiti sopra indicati ed il ricorso incidentale nella sua integralità.


Cassata la sentenza impugnata, può provvedersi nel merito solo con riferimento alla decorrenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, che va fissata al 3.5.99, mentre per il risarcimento del danno deve farsi rinvio al giudice indicato in dispositivo, che regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità."

Cass. civ. Sez. VI, Ord., 27-03-2012, n. 4909

rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale e divieto totale o parziale di cumulo tra pensione e retribuzione


"Fin dall'inizio (L. n. 153 del 1969, art. 22) la pensione di anzianità dei dipendenti privati è stata incumulabile per l'intero con il reddito da lavoro dipendente e detta incumulabilità piena con il reddito da lavoro subordinato è rimasta inalterata (D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 10, commi 1 e 2), dovendo il lavoratore subordinato risolvere il rapporto di lavoro (D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 10, comma 6) per potere godere della prestazione pensionistica.


Un'ulteriore tappa del processo evolutivo riguarda la fase di regime della riforma del 1995; cioè le pensioni da liquidare esclusivamente con il sistema contributivo, una volta soppressa la distinzione tra pensione di vecchiaia e pensione di anzianità. Tale riforma aveva previsto la vigenza, fino al compimento da parte dell'interessato dell'età di 62 anni, del regime di incumulabilità con il reddito da lavoro dipendente, nella sua interezza, e con il reddito da lavoro autonomo nella misura del 50% della parte eccedente il trattamento minimo; e invece dall'età di 63 anni in poi, del regime di incumulabilità della pensione con i redditi sia da lavoro dipendente che da lavoro autonomo nella misura del 50% della parte eccedente l'importo del trattamento minimo (L. n. 335 del 1995, art. 1, commi 21 e 22). Detti limiti al cumulo tra pensione e redditi da lavoro sono ormai sostanzialmente superati ed attualmente le pensioni di anzianità sono intermente cumulabili con i redditi da lavoro tanto autonomo che dipendente, purchè il lavoratore abbia una determinata anzianità contributiva (L. n. 388 del 2000, art. 72, e L. n. 289 del 2002, art. 44). La L. n. 243 del 2004, aveva delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi contenenti norme intese tra l'altro "ad eliminare progressivamente il divieto di cumulo tra pensioni e redditi da lavoro (art. 1, comma 1, lett. b) ma la delega non è stata attuata; tuttavìa successivamente ha provveduto alla "liberalizzazione" la L. n. 133 del 2008, art. 19.


Questa essendo l'evoluzione normativa in tema di disciplina dei limiti al concorso del reddito da lavoro con il trattamento pensionistico di anzianità, deve rilevarsi che è stato ritenuto che la nuova disciplina non si estenda anche al pubblico impiego, per il quale continua ad operare il regime di incumulabilità già fissato dal D.P.R. n. 758 del 1965, art. 4.


Anche ove sia ritenuto, tuttavia, che il regime di liberalizzazione sia ormai operante per tutti i settori, deve preliminarmente, ai fini della decisione della questione all'esame, individuarsi la natura della norma contenuta nella L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 185, nata come eccezione di favore in deroga al vecchio regime generale, per valutare se la stessa sia resistente o meno al processo di evoluzione nel senso della liberalizzazione sopra delineata. A norma dell'art. 15 preleggi, infatti, l'abrogazione tacita si realizza sia quando le disposizioni della nuova legge siano incompatibili con quelle della legge anteriore, sia quando la nuova legge regoli l'intera materia già regolata dalla legge anteriore, non potendo ovviamente coesistere, in quest'ultimo caso, due leggi che regolino per intero la medesima materia. Tuttavia, la regola dell'abrogazione non si applica quando la legge anteriore sia speciale od eccezionale e quella successiva, invece, generale (legi speciali per generalem non derogatur), ritenendosi che la disciplina generale - salvo espressa volontà contraria del legislatore - non abbia ragione di mutare quella dettata, per singole o particolari fattispecie, dal legislatore precedente.


[...]


Orbene, la norma di cui si discute deve, in relazione alla cennata distinzione, indubbiamente qualificarsi come eccezionale, avendo portata derogatoria, nel sistema in vigore all'epoca della sua emanazione, rispetto ai principi generali in tema di incumulabilità tra pensione di anzianità e redditi di lavoro e prevedendo la possibilità di cumulo sia pure limitato, nel senso che l'importo della pensione viene ridotto in misura inversamente proporzionale alla riduzione dell'orario normale di lavoro (riduzione comunque non superiore al 50%) e che la somma della pensione e della retribuzione non può in ogni caso superare l'ammontare della retribuzione spettante al lavoratore che, a parità di altre condizioni, presta la sua opera a tempo pieno. 


[...]


Ma il carattere di eccezionalità della normativa, che non consente alla normativa successiva di carattere generale di incidere in senso ampliativo sulla misura del cumulo parziale, deve essere collegato anche alla circostanza che il conseguimento del trattamento pensionistico, sia pure ridotto, non è subordinato, dalla legge 662/96, alla cessazione dell'attività lavorativa.


Ed invero, il diritto alla pensione, nella generalità dei casi, ai sensi della L. n. 153 del 1969, art. 22, comma 1, lett. c), matura in capo al lavoratore interessato alla presenza di un duplice requisito, rappresentato dal raggiungimento dell'anzianità contributiva e dalla cessazione dell'attività lavorativa subordinata alla data di presentazione della relativa domanda. Con la riforma introdotta dal D.Lgs. n. 503 del 1992, il legislatore ha ribadito che il diritto alla pensione di anzianità è subordinato alla cessazione dell'attività di lavoro dipendente (art. 10, comma 6), estendendo tale requisito anche alla pensione di vecchiaia (art. 1, comma 7).


[...]


L'interpretazione giurisprudenziale in materia, oltre a considerare, come sopra ricordato, la cessazione dell'attività lavorativa, al pari dell'anzianità contributiva ed assicurativa, quale presupposto necessario per l'insorgenza del diritto alla pensione di anzianità (Cass. civ. n. 6571/2002), ritiene momento fondante quello di presentazione della domanda (Cass. civ. n. 14132/2004).


Dalle premesse svolte si desume, quindi, che alla data di presentazione della domanda di pensione non deve sussistere alcun rapporto di lavoro con il medesimo datore di lavoro, essendo in ogni caso necessaria una soluzione di continuità per conseguire il diritto ai trattamento pensionistico. Ciò al fine di evitare che la percezione della pensione di anzianità avvenga contemporaneamente alla prestazione dell'attività lavorativa subordinata.


In definitiva, sia in caso di medesimo che di diverso datore, risulta comunque necessaria una soluzione di continuità fra i successivi rapporti di lavoro al momento della richiesta della pensione di anzianità e alla decorrenza della pensione stessa.


La eccezionalità della norma deve, pertanto, ravvisarsi, alla luce dei principi appena richiamati, nella peculiarità della fattispecie prevista, che consente la prosecuzione del rapporto di pubblico impiego del dipendente per quanto part time ed il contemporaneo conseguimento del trattamento pensionistico di anzianità in costanza di rapporto, sia pure trasformato, con lo stesso datore di lavoro."

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 27-03-2012, n. 4900

Giustizia Amministrativa


Concorsi pubblici: il candidato pasticcione rischia l'esclusione?

La presenza di cancellature in un elaborato concorsuale può costituire segno di riconoscimento idoneo a consentire l'individuazione del candidato e come tale legittimare l'esclusione del soggetto dal concorso?

Consiglio di Stato / Sentenza 26 marzo 2012 da NORMA

28 marzo 2012

Notifica del gravame presso il procuratore costituito nella sua ultima (erronea) residenza e rimedi.

"La corte territoriale riteneva tardiva la seconda notificazione dell'atto di gravame, essendo risultato provato che il procuratore e difensore degli attori aveva, con missiva del 5.9.2006, comunicato a quello delle convenute l'avvenuto trasferimento del proprio domicilio, come in precedenza riferito, sicchè non poteva tenersi conto di quello dichiarato nel corso del giudizio di primo grado, ancorchè riportato nell'epigrafe della relativa sentenza; d'altra parte, non essendovi stata all'atto della notificazione della sentenza alcuna nuova elezione di domicilio, l'impugnazione, ai sensi dell'art. 330 c.p.c., comma 1, avrebbe dovuto essere notificata presso il procuratore costituito nella sua ultima dichiarata residenza.


[...]


Con l'unico motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 330 c.p.c., essenzialmente deducendosi la non imputabilità all'appellante della mancata notificazione [...] entro il termine breve, che nella specie, tenuto conto dei principi affermati dalla sentenza n. 3818 delle Sezioni Unite di questa Corte, avrebbe potuto essere riattivata e perfezionata, anche oltre il termine suddetto, presso l'effettivo domicilio del professionista destinatario. A tale riguardo si deduce l'irrilevanza della circostanza che quest'ultimo avesse, con missiva del 5.9.06, comunicato il nuovo indirizzo, sia perchè "ben sette mesi dopo" il medesimo risultava, dall'albo professionale, avere il suo studio in quello precedente, il che induceva a ritenere che colà lo avesse ricondotto, sia perchè a tal epoca continuava ad utilizzare un timbro professionale indicante l'originario indirizzo; si soggiunge, infine, che un'istanza di rimessione in termini rivolta alla Corte d'Appello, al fine di poter rinnovare la notificazione, era rimasta senza esito.


Le censure sono fondate.


La più recente giurisprudenza di questa Corte, riprendendo e sviluppando il principio di incolpevolezza affermato dalle Sezioni Unite nella pronunzia citata dalla ricorrente, ha avuto modo di chiarire come, nelle ipotesi in cui un primo tentativo di notifica, per ragioni obiettivamente non imputabili al notificante, sia andato a vuoto, il notificante possa, alla luce anche del principio di ragionevole durata del processo, di propria iniziativa e senza adire il giudice (così evitando un inutile allungamento dei tempi del giudizio), richiedere all'ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, che se perfezionato entro un ragionevole tempo (necessario, secondo la comune diligenza, ad accertare il nuovo recapito della controparte), ancorchè successivo alla scadenza del termine d'impugnazione, si considera utilmente attivato alla data della prima richiesta di notificazione (v. Cass. nn. 21154/10, 19986/11).


Tale principio, che il collegio condivide, ben si attaglia alla fattispecie in esame, caratterizzata dalla non linearità ed obiettiva ambiguità del comportamento professionale di un difensore, che pur avendo comunicato, informalmente e fuori del processo, l'avvenuto trasferimento di fatto del proprio studio professionale da un luogo all'altro, aveva tuttavia omesso di ribadirlo all'atto della successiva notificazione della sentenza e per di più apposto sulla relativa copia, nella cui epigrafe continuava a figurare l'originaria elezione di domicilio, un timbro professionale ancora indicante quel recapito, omettendo altresì, come sarebbe stato anche suo dovere deontologico, di comunicare all'albo professionale detta variazione.


In siffatto contesto quale l'iniziale errore di notificazione trovava ampia giustificazione nel ragionevole convincimento, ingenerato dal suesposto comportamento del legale di controparte, secondo cui la, pur comunicata, variazione del recapito professionale fosse stata solo temporanea e superata dal ritorno all'originario studio, la ripresa ed il perfezionamento del procedimento notificatorio, attuati (come si rileva dalle cadenze temporali riferite in narrativa) a pochi giorni di distanza dal negativo esito del primo tentativo (ed indipendentemente dalla vana richiesta al giudice ad quem di rimessione in termini), devono ritenersi utilmente eseguiti e tali da riconnettersi, senza soluzione di continuità processuale, all'originaria data di attivazione della notifica, intervenuta durante il decorso del termine breve per la proposizione dell'appello.


Il ricorso va conclusivamente accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio per nuovo giudizio di appello ad altra sezione della corte di provenienza, cui si demanda anche il regolamento delle spese del presente."


Cass. civ. Sez. II, Sent., 26-03-2012, n. 4842

Incarico di mediazione: libertà delle forme anche per le società


"Erroneamente la Corte di appello ha affermato che Sitas avrebbe dovuto attribuire l'incarico al mediatore tramite un atto espresso e formale, compiuto da soggetto legittimato a rappresentarla.


Anche per l'attività economica delle persone giuridiche vale il principio della libertà delle forme, per tutti gli atti per i quali la legge non richieda una forma particolare. Fra questi non rientra il conferimento dell'incarico al mediatore (salvo ovviamente il caso in cui sia conferito anche il potere di rappresentare il mandante nella conclusione del contratto intermediato e per quest'ultimo sia richiesta la forma scritta).


Ma soprattutto, è principio consolidato in tema di mediazione che presupposto essenziale del diritto al compenso non è necessariamente il conferimento espresso dell'incarico, quanto piuttosto la circostanza che il mediatore abbia di fatto svolto un'attività utile per la conclusione dell'affare; che di tale attività le parli fossero consapevoli e da essa abbiano tratto vantaggio (Cass. civ. Sez. 3, 12 settembre 1997 n. 9004; 11 maggio 1998 n. 4742; 30 gennaio 2001 n. 1290; 15 marzo 2007 n. 6004).


Questo principio è stato disatteso dalla Corte di appello, che non ha motivato in ordine alla consapevolezza o meno da parte di Sitas dell'intervento del mediatore ed all'utilità dell'opera da lui svolta, pur a prescindere dall'atto formale di incarico."

Cass. civ. Sez. VI, Ord., 26-03-2012, n. 4830

I soldi del Comune saranno pure impignorabili..ma fai almeno una CTU contabile


"una volta ricordato che la qui pienamente condivisa impostazione di Cass. 23727 del 2008 comporta l'inversione dell'onere della prova sulla sussistenza dei presupposti per l'operatività dell'impignorabilità, va rilevato che la creditrice ha assolto ogni onere su di essa incombente con la mera adduzione, evidentemente non pretestuosa nè generica, di numerose circostanze di fatto, analiticamente elencate anche nel ricorso (ed in ossequio al principio della sua autosufficienza), dalle quali desumere il sospetto di quell'inoperatività;


la circostanza che la creditrice abbia in concreto offerto di provare, con prove documentali ed orali, analoghe circostanze, di certo non elide il corrispondente onere del Comune: il quale non può essere assolto mediante una mera certificazione di uno dei suoi uffici od organi, operando anche quanto alla pubblica amministrazione il principio generale del processo civile, per il quale di regola - e tranne specifiche eccezioni previste dalla legge, che in questo frangente non si rinvengono - nessuno può formare prove a proprio favore;


nè si riscontra una genericità tale delle capitolazioni delle prove orali od altre condizioni dei documenti addotti da escludere in via diretta ed immediata ogni loro riferibilità a fatti impeditivi dell'impignorabilità, soprattutto perchè, come si ripete, onerato della prova positiva della insussistenza di quelli, una volta non pretestuosamente dedotti, era il Comune debitore e non il creditore;


ancora, dinanzi ai sospetti di inoperatività dell'impignorabilità, ben poteva darsi il caso di una consulenza tecnica di ufficio percipiente, essendo evidente l'inaccessibilità, da parte del singolo creditore, alla complessa contabilità di un ente complesso come il Comune (e, per le sue titaniche dimensioni, come quello di Napoli) e quindi la sua impossibilità di provare altrimenti le circostanze dedotte, a prescindere da chi poi ne avesse in concreto l'onere: e salvo solo il principio della necessaria anticipazione dei costi degli atti processuali in corso di causar con valutazione peraltro rimessa al giudice istruttore della stessa ed impregiudicata la finale regolamentazione del carico delle spese di lite;


[...]


Ne consegue che malamente sono stati applicati, in danno del creditore opponente, i criteri elaborati da questa Corte in tema di contestazione dei presupposti per l'applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 159, e, pertanto, in accoglimento dei motivi ventesimo, ventunesimo, ventiduesimo, ventitreesimo, ventiquattresimo, venticinquesimo e ventiseiesimo, il ricorso va accolto, con cassazione della gravata sentenza e rinvio al medesimo tribunale di Napoli, in persona di diverso giudicante, il quale istruirà l'opposizione attenendosi ai principi di cui ai precedenti punti 16.1. a 16.4. e provvederà pure sulle spese del presente giudizio di legittimità in rapporto all'esito finale della lite."

Cass. civ. Sez. III, Sent., 26-03-2012, n. 4820

CEDU procedimento di prevenzione antimafia "a porte chiuse"


Ancora sull'iniquità del procedimento di prevenzione "a porte chiuse"

Sulla scia della procedure d'arret pilote Bocellari e Rizza c. Italia, la Corte europea dei diritti dell'uomo, con la sentenza in rassegna, è tornata ad affermare che la disciplina del procedimento di prevenzione antimafia non risponde alle esigenze postulate dalla Convenzione europea in relazione alle garanzie pubblicitarie. Un procedimento che infatti non consenta all'interessato di richiedere uno svolgimento a porte aperte non è compatibile con l'art. 6 della Cedu. Ciononostante, la "censura" mossa dai giudici di Strasburgo all'apparato normativo italiano è da ritenersi superata, atteso che, com'è noto, il problema dell'apertura delle porte nel procedimento di prevenzione patrimoniale antimafia è stato, proprio in forza del monito europeo, modificato, prima con l'intervento della Corte Costituzionale (sent. n. 93/2010) e poi con quello del legislatore (cfr. il c.d. Codice Antimafia). Il nuovo impianto normativo ha espunto dal sistema il c.d. statuto camerale unimodale, introducendo il c.d. modello "a geometria variabile" dove la richiesta dell'interessato può far sì che il pubblico assista all'udienza.

CEDU / Sentenza 26 luglio 2011 da NORMA


27 marzo 2012

Responsabilità disciplinare del notaio

"L'esame del motivo di ricorso rende necessaria l'esposizione di alcuni principi regolatori della responsabilità disciplinare degli esercenti la professione notarile e del controllo della Corte di cassazione sulla motivazione delle decisioni rese dalla Corte di appello, quale giudice del reclamo avverso le decisioni della COREDI (L. n. 89 del 1913, artt. 158, 158 bis e 158 ter, come D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249).


Vi è da premettere che, come già affermato da questa Corte, l'art. 147 della legge notarile individua con chiarezza l'interesse che si ritiene meritevole di tutela (ossia, la salvaguardia della dignità e reputazione del notaio, nonchè il decoro ed il prestigio della classe notarile) e determina la condotta punibile in quella idonea a compromettere l'interesse tutelato; condotta il cui contenuto, non individuato nel suo specifico atteggiarsi, è integrato dalle norme di etica professionale e, quindi, dal complesso di quei principi di deontologia che sono oggettivamente enucleabili dal comune sentire di un dato momento storico, nonchè dai "Principi di deontologia professionale dei notai" emanati dal Consiglio Nazionale del notariato in data 24 febbraio 1994 (G.U. 16 luglio 1994, n. 165, suppl. ord.). Come tale la norma menzionata è del tutto rispettosa del principio di legalità (Cass. 24/07/1996, n. 6680).


La ragione della mancanza di una specifica tipizzazione di ipotesi d'illecito,anche in tema di disciplinare dei notai, al pari di quanto avviene per altre categorie, viene generalmente ravvisata nel fine di evitare che violazioni dei doveri anche gravi possano sfuggire alla sanzione disciplinare. Pertanto, per un'esatta ricostruzione del controllo di legittimità sull'interpretazione ed applicazione di tale norma, occorre prendere le mosse dalla premessa che la stessa descrive fattispecie d'illecito disciplinare, non mediante un catalogo di ipotesi tipiche, ma mediante clausole generali o concetti giuridici indeterminati. Ciò comporta anzitutto che tale norma non si presta ad una definitiva ed esaustiva individuazione di ipotesi tipiche sul piano astratto, sia pure da parte dell'organo deputato alla sussunzione del fatto nella norma generale. Il che, sotto il profilo attuativo, significa che il perimetro di tale norma generale, preposta alla tutela del decoro e della dignità professionale, non è esaurito dalle fattispecie tipiche lesive che possano rivenirsi nel codice deontologico professionale.


[...]


Il dibattito sul controllo di legittimità dell'applicazione di concetti giuridici indeterminati effettuata dal giudice di merito non è certo recente, nè esclusivo della tradizione giuridica italiana, ma risale ad oltre un secolo e mezzo fa. Limitando l'esame all'esperienza applicativa della Corte, è certo che, almeno nella sua teorica enunciazione, quando il giudice del merito è chiamato ad applicare concetti giuridici indeterminati, il compito del controllo di legittimità può essere soltanto quello di verificare la ragionevolezza della sussunzione del fatto. La Corte non può, pertanto, sostituirsi al giudice di merito nell'attività di riempimento dei concetti indeterminati contenuti nel citato art. 147 l. not..


[...]


Il sindacato da parte della Corte di legittimità sulla ragionevolezza di tale concretizzazione della norma generale è quindi un sindacato su vizio di violazione di norma di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, ben lontano da quello di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5. 10.7. Ne consegue che non è incorsa in alcuna violazione degli artt. 136 e 147 l. not. La sentenza impugnata che ha applicato al notaio la sanzione dell'avvertimento per l'addebito di cui al capo 2) per aver rogato un atto in cui chi compariva quale rappresentante esorbitava dai poteri conferiti dal rappresentato, così effettuando un esercizio non oculato nè tecnicamente corretto della professione notarile."

Cass. civ. Sez. VI, Sent., 23-03-2012, n. 4720

Domanda di brevetto


"Il motivo è infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte che ha affermato in diverse occasioni che, pur dovendo ogni domanda di brevetto avere ad oggetto una sola invenzione, ben può accadere che tale domanda si presenti come un complesso di più elementi inventivi, talvolta oggetto di plurime rivendicazioni, come espressamente consentito dalla legge, e, in tal caso, qualora una registrazione sia stata concessa anche riguardo a rivendicazioni sprovviste dei necessari requisiti per una autonoma proteggibilità, la nullità parziale del brevetto prevista dal R.D. n. 1127 del 1939, art. 79, provvede all'esigenza di conservare validità alle altre concorrenti rivendicazioni che si presentino fornite dei requisiti di legge per la brevettazione. Ove poi ne ricorrano le condizioni, la nullità parziale può essere dichiarata anche con riguardo ad un brevetto di combinazione, dovendosi però escludere che, attraverso tale istituto, si possa giungere ad una autonoma proteggibilità di quegli elementi già noti che, per definizione, rientrano nella struttura dell'invenzione di combinazione. (Cass. 8777/98)."

Cass. civ. Sez. I, Sent., 23-03-2012, n. 4739

Giustizia Amministrativa


Procedure ablatorie affidate "in concessione": meglio stare attenti!

Il termine concessione può assumere diversi significati a seconda dei contesti normativi; altrettanto differenziati, in ragione di ciò, possono essere gli effetti del provvedimento concessorio in punto di responsabilità risarcitoria per i danni arrecati ai terzi.

Consiglio di Stato / Sentenza 23 marzo 2012 da NORMA

26 marzo 2012

Danno all'immagine del Comune


"secondo l'orientamento ormai consolidato di questa Corte, "poichè anche nei confronti della persona giuridica ed in genere dell'ente collettivo è configurabile la risarcibilità del danno non patrimoniale allorquando il fatto lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell'ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione, e fra tali diritti rientra l'immagine della persona giuridica o dell'ente, allorquando si verifichi la lesione di tale immagine, è risarcibile, oltre al danno patrimoniale, se verificatosi, e se dimostrato, il danno non patrimoniale costituito - come danno c.d. conseguenza - dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell'ente nel che si esprime la sua immagine, sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell'agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell'ente e, quindi, nell'agire dell'ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l'ente di norma interagisca. (Cass. n. 12929/2007).


Ed invero, anche le persone giuridiche, tra cui vanno compresi gli enti territoriali esponenziali, quale un Comune, possono essere lesi in quei diritti immateriali della personalità, che sono compatibili con l'assenza di fisicità, quali i diritti all'immagine, alla reputazione, all'identità storica, culturale, e politica costituzionalmente protetti ed in tale ipotesi ben possono agire per il ristoro del danno patrimoniale.


Giova aggiungere che deve ormai considerarsi jus reception il fatto che un danno non patrimoniale possa configurarsi anche in conseguenza di un inadempimento contrattuale (cfr Sez. Un. n.26972/08, Sez. Un. n. 26975, Sez. Un. n. 6572/06) ed è inoltre condividibile l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui il danno all'immagine o al prestigio del Comune e della sua amministrazione, quale danno non patrimoniale conseguente ad inadempimento contrattuale, è suscettibile di essere risarcito sulla base dell'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cc che ne ammette l'applicabilità a tutti i danni non patrimoniali a prescindere dalla circostanza che la lesione consegua ad un titolo di responsabilità aquiliana o contrattuale."

Cass. civ. Sez. III, Sent., 22-03-2012, n. 4542

ESTORSIONE, SEQUESTRO DI PERSONA e illegittimità costituzionale


Va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 630 del codice penale nella parte in cui non prevede, in relazione al delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, una circostanza attenuante speciale per i fatti di «lieve entità», analoga, «nella struttura e negli effetti», a quella applicabile, in forza dell'art. 311 c.p., al delitto di sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione, previsto dall'art. 289 bis del medesimo codice.

Sul piano della struttura della fattispecie la condotta integrativa dei due delitti di "sequestro a scopo di estorsione" e di "sequestro a scopo terroristico o eversivo" è identica, consistendo nel privare taluno della libertà personale. Le figure criminose si distinguono solo in rapporto alla finalità che sorregge la condotta (dolo specifico): di estorsione in un caso, di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico nell'altro, attentando, il primo, al patrimonio e offendendo l'ordine costituzionale il secondo. Tale comunanza rende manifestamente irrazionale, e dunque lesiva dell'art. 3 Cost., la mancata previsione, in rapporto al sequestro di persona a scopo di estorsione, di un'attenuante per i fatti di lieve entitià, analoga a quella applicabile alla fattispecie "gemella".

Corte cost., 23-03-2012, n. 68

Giustizia Amministrativa


Università: studenti transfrontalieri..."Schengen" ma non troppo!

Sulla legittimità o meno di previsioni di Ateneo che prevedono il superamento di una prova d'accesso per l'immatricolazione di studenti di Università straniere, anche dell'UE, che chiedono il trasferimento presso Facoltà a numero chiuso nel nostro "bel paese".

T.A.R. / T.A.R. Campania - Napoli / Sentenza 20 marzo 2012 da NORMA

Giustizia Amministrativa


Sospensione "necessaria" del processo amministrativo

L'istituto della sospensione del giudizio di cui all'art. 295, cod. proc. civ. è applicabile anche ai processi amministrativi giusto il richiamo espresso di cui all'art. 79, cod. proc. amm.: ma quand'è che ricorre effettivamente un'ipotesi di sospensione necessaria del processo?

Consiglio di Stato / Sentenza 20 marzo 2012 da NORMA

Giustizia Amministrativa


Ottemperanza al giudicato formatosi in appello: a chi rivolgersi?

Sul giudice competente a conoscere il ricorso per l'ottemperanza al giudicato formatosi su una sentenza del Consiglio di Stato avente lo stesso contenuto dispositivo e conformativo della decisione di primo grado.

Consiglio di Stato / Sentenza 20 marzo 2012 da NORMA

23 marzo 2012

Nullità della cartella per computo criptico degli interessi..

"Il motivo del ricorso dell'Agenzia è inammissibile. I giudici d'appello, dopo aver rilevato che l'indicazione "degli atti presupposti" poteva esser considerata sufficiente, perchè intelligibile per il contribuente, hanno considerato che "nella cartella viene riportata solo la cifra globale degli interessi dovuti, senza essere indicato come si è arrivati a tale calcolo, non specificando le singole aliquote prese a base delle varie annualità che nella fattispecie, vale sottolinearlo, essendo l'accertamento riferito all'anno d'imposta 1983, sono più di 23 anni calcolati", ed hanno ritenuto, perciò, che l'operato dell'ufficio era ricostruibile "attraverso difficili indagini dovute anche alla vetustà della questione" che non competevano al contribuente che vedeva, così, violato il suo diritto di difesa. Tale ratio decidendi, secondo cui il computo degli interessi è criptico e non comprensibile anche in ragione del lungo periodo considerato, non è incisa nè dalle considerazioni svolte dalla ricorrente a proposito della non necessità della motivazione della cartella derivante da una sentenza passata in giudicato (principio, peraltro, affermato dalla CTR, in riferimento ai "presupposti") nè dal solo richiamo al DPR n. 602 del 1973, art. 20, venendo in rilievo non la spettanza degli interessi, ma, proprio, il modo con cui è stato calcolato il totale riportato nella cartella. Il motivo, privo di specifica attinenza al decisum, va, quindi, dichiarato inammissibile, in conformità con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui i motivi per i quali si richiede la cassazione devono presentare, a pena, appunto, d'inammissibilità, i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass. n. 17125 del 2007, che fa riferimento al paradigma normativo di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4)."

Cass. civ. Sez. V, Sent., 21-03-2012, n. 4516

Giustizia Amministrativa



Appalto: tassatività delle cause di esclusione e favor partecipationis

Può ritenersi legittima, alla luce del principio di tassatività delle cause di esclusione dalle gare di appalto, l'ammissione di una associazione temporanea costituenda tra due imprese che abbia presentato la domanda di partecipazione sottoscritta dal legale rappresentante di una soltanto delle ditte?

T.A.R. / T.A.R. Valle d'Aosta - Aosta / Sentenza 15 marzo 2012 da NORMA

22 marzo 2012

Sanzioni amministrative, L.689/81: competenza, consumazione dell'illecito, personalità della sanzione


"Correttamente il Giudice di pace ha affermato la propria competenza per valore atteso che, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22 bis, ai fini della determinazione della competenza per valore nei giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, non rileva la circostanza che il provvedimento sanzionatorio abbia ad oggetto una pluralità di violazioni e che per effetto della somma degli importi delle sanzioni applicabili per ciascuna violazione, si abbia un importo superiore a quello della competenza del Giudice di pace.


...la competenza va determinata tenendo conto solo della sanzione prevista per la singola violazione - trattandosi di competenza per materia con limite di valore - e che la riunione di procedimenti relativi a cause connesse ex art. 274 c.p.c., non è nient'altro che una misura organizzativa del lavoro giudiziario, inidonea a superare l'autonomia dei singoli giudizi, non essendo possibile porre sullo stesso piano la posizione di chi sia destinatario di un'unica sanzione pecuniaria di importo superiore alla soglia di competenza del giudice onorario e quella di chi sia invece destinatario di tante sanzioni pecuniarie, ciascuna di importo edittale inferiore. La L. n. 689 del 1981, art. 22 bis, comma 3, lett. a), - ha affermato la Corte costituzionale - è norma speciale rispetto a quella dell'art. 10 c.p.c., comma 2, il quale, pertanto, non si applica nel caso in cui in un giudizio vengano riunite più opposizioni avverso distinte ordinanze-ingiunzioni tutte relative a violazioni per le quali è prevista una sanzione di importo inferiore, nel massimo, ad Euro 15.493, nè nel caso in cui l'ordinanza-ingiunzione sia unica, ancorchè di importo superiore ad Euro 15.493 per effetto della somma delle sanzioni dovute per ciascuna delle singole violazioni contestate.

[...]

Questa Corte ha, sia pure con riferimento alle pratiche bancarie, avuto modo di chiarire che "la violazione amministrativa consistente nell'omessa indicazione negli atti e nella corrispondenza delle società di capitali, dell'ammontare del capitale sociale effettivamente versato, prevista dall'art. 2250 c.c., comma 2, e art. 2627 c.c. (nel testo anteriore alla novella recata dal D.Lgs. n. 61 del 2002), tutela l'esigenza (derivante da obblighi comunitari) di mettere in condizione i clienti di conoscere la consistenza patrimoniale della società, sicchè l'illecito si consuma non già nella predisposizione unitaria e generalizzata di stampati e atti per una serie indeterminata di contrattazioni, bensì ogni qual volta, per una operazione commerciale, i singoli stampati ed atti vengano utilizzati senza le indicazioni anzidette. Ne consegue che, in tali ipotesi, non è applicabile nè la L. n. 689 del 1981, art. 8, in quanto relativo alla diversa fattispecie del concorso formale, eterogeneo od omogeneo, che postula l'unicità dell'azione o omissione produttiva di una pluralità di violazioni, nè l'istituto della continuazione, previsto soltanto per gli illeciti previdenziali" (Cass. n. 6194 del 2011).


Tale principio appare applicabile anche al caso delle violazioni previste e sanzionate dal D.Lgs. n. 50 del 1992, nelle quali, quindi, ciò che rileva non è la predisposizione di un modulo utilizzabile innumerevoli volte, ma la concreta utilizzazione del singolo modulo, sanzionabile ogniqualvolta il modulo stesso non sia rispondente alle prescrizioni legislative.

[...]

Questa Corte ha avuto modo di precisare che "nel sistema introdotto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, fondato sulla natura personale della responsabilità, autore dell'illecito amministrativo può essere soltanto la persona fisica che ha commesso il fatto, e non anche un'entità astratta, come società o enti in genere, la cui responsabilità solidale per gl'illeciti commessi dai loro legali rappresentanti o dipendenti è prevista esclusivamente in funzione di garanzia del pagamento della somma dovuta dall'autore della violazione, rispondendo anche alla finalità di sollecitare la vigilanza delle persone e degli enti chiamati a rispondere del fatto altrui. Il criterio d'imputazione di tale responsabilità è chiaramente individuato dalla L. n. 689 cit., art. 6, il quale, richiedendo che l'illecito sia stato commesso dalla persona fisica nell'esercizio delle proprie funzioni o incombenze, stabilisce un criterio di collegamento che costituisce al tempo stesso il presupposto ed il limite della responsabilità dell'ente, nel senso che a tal fine si esige soltanto che la persona fisica si trovi con l'ente nel rapporto indicato, e non anche che essa abbia operato nell'interesse dell'ente" (Cass. n. 12264 del 2007).


Più di recente si è anche precisato che "in tema di sanzioni amministrative, a norma della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3, è responsabile di una violazione amministrativa solo la persona fisica a cui è riferibile l'azione materiale o l'omissione che integra la violazione; ne consegue che, qualora un illecito sia ascrivibile in astratto ad una società di persone (nella specie una s.n.c.), non possono essere automaticamente chiamati a risponderne i soci amministratori, essendo indispensabile accertare che essi abbiano tenuto una condotta positiva o omissiva che abbia dato luogo all'infrazione, sia pure soltanto sotto il profilo del concorso morale" (Cass. n. 26238 del 2011).


Orbene, nel caso di specie, correttamente il Giudice di pace ha disatteso il motivo di opposizione con il quale l'opponente ha sostenuto di non poter essere considerato imputabile con riferimento a violazioni commesse da singoli operatori commerciali che avevano stipulato il contratto per conto della società della quale egli era legale rappresentante. Nè i ricorrenti hanno svolto argomentazioni idonee a dimostrare la erroneità del convincimento del Giudice di pace in ordine alla applicabilità, nel caso di specie, del principio di personalità della responsabilità della sanzione amministrativa, desunto da numerose disposizioni della L. n. 689 del 1981. Nè risultano addotti elementi in fatto idonei ad escludere che il M., in quanto amministratore e legale rappresentante della TARGET s.r.l. fosse responsabile in via diretta degli illeciti riferibili all'attività della detta società, se non altro perchè egli, per la posizione occupata e per autonomia decisionale, aveva la responsabilità dell'osservanza delle disposizioni concernenti l'attività esercitata."

Cass. civ. Sez. II, Sent., 20-03-2012, n. 4428

Processo di opposizione all'esecuzione


"Vanno qui ribaditi i principi più volte espressi da questa Corte riguardo al processo di opposizione all'esecuzione, secondo cui questo è un ordinario processo di cognizione, nel quale la domanda giudiziale va identificata, nell'aspetto oggettivo, con i suoi elementi costitutivi, del petitum, consistente nella richiesta di un provvedimento giurisdizionale che dichiari l'inesistenza del diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata, e della causa petendi, che consiste nella specifica situazione giuridica sostanziale dedotta dalla parte istante a fondamento della assunta inesistenza del diritto di procedere in executivis (cfr. già Cass. n. 2911/1980, nonchè Cass. n. 17630/2002; n. 8219/2004; n. 24047/2009); dal punto di vista soggettivo, l'opponente, vale a dire il soggetto esecutato (o precettato), ha veste sostanziale e processuale di attore. Pertanto, le eventuali "eccezioni" sollevate dall'opponente per contrastare il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata costituiscono causa petendi della domanda proposta con l'atto introduttivo dell'opposizione e sono soggette al regime sostanziale e processuale della domanda (cfr. Cass. n. 3477/2003; ord. n. 1328/2011; n. 16541/2011); spetta all'opponente contestare il diritto della controparte di procedere ad esecuzione forzata, dando prova dei fatti allegati (che, di norma, in sè considerati, sono fatti estintivi, impeditivi o modificativi dell'obbligazione ovvero, come nel caso di specie, fatti comportanti l'inadeguatezza del titolo posto a base del precetto a supportare l'esecuzione forzata nei confronti dell'ingiunto) e degli elementi di diritto costituenti i motivi di opposizione.


3.1.- L'opposto (vale a dire il creditore procedente) ha la posizione del convenuto (cfr. Cass. n. 14554/2000 ed altre) e può contrastare le deduzioni dell'opponente, sia avvalendosi di eccezioni in senso tecnico (peraltro poco frequenti in un giudizio oppositivo quale è quello de quo), sia mediante mere difese, volte a contestare l'esistenza dei fatti che l'opponente assume a fondamento dell'opposizione ovvero le conseguenze che da tali fatti l'opponente vuole trarre.


Soltanto nel caso in cui l'opposto intenda munirsi di un titolo esecutivo che si aggiunga o si sostituisca a quello oggetto di opposizione ha facoltà di proporre domanda riconvenzionale, nel rispetto delle preclusioni previste per la relativa proposizione (cfr. già Cass. n. 3849/88 e n. 11097/96, nonchè Cass. n. 7225/06 e n. 9494/07)."

Cass. civ. Sez. III, Sent., 20-03-2012, n. 4380

Danno da vacanza rovinata

Il Tour Operator che omette informazioni importanti è tenuto al risarcimento del danno morale.. e altro ancora..

"Questi i principi di diritto cui il giudice del rinvio dovrà attenersi:


1) La causa del contratto, così come affermato da questa corte di legittimità con le sentenze 10490 del 2006, 16315 e 26956 del 2007, non può ulteriormente essere intesa, in senso del tutto astratto, come funzione economico-sociale del negozio, svincolata tout court dalla singola fattispecie contrattuale, bensì come funzione economico-individuale del singolo, specifico negozio, da valutarsi in tali termini sotto il profilo tanto genetico, quanto funzionale; onde la obbiettivazione (quale quella verificatasi nel caso di specie) di un motivo di cui la controparte sia resa espressamente partecipe è destinata ad integrare l'elemento causale della convenzione negoziale nella misura in cui esso risulta determinante della formazione del consenso;


2) La risarcibilità del danno morale è, nella specie, prevista per legge, oltre che costantemente predicata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea;


3) La valutazione del coacervo testimoniale deve avvenire secondo un procedimento di scrutinio logico delle singole deposizioni che dia conto del loro contenuto e della loro interpretazione soprattutto sul piano obbiettivo, non potendo una valutazione di inattendibilità fondarsi sulle sole qualità soggettive del deponente;


4) L'offerta di prestazioni contenute nel pacchetto di viaggio, ovvero accessorie ad esso ma comunque garantite dall'operatore turistico, rientrano tout court nell'orbita del rapporto contrattuale;


5) Le omissioni di informazioni rilevanti, da parte del Tour Operator, costituiscono, a loro volta, violazioni di natura contrattuale e non precontrattuale;


6) Il catalogo informativo dell'operatore turistico costituisce prova documentale equiparabile alla scrittura privata ex art. 2702 c.c., sottratta alla libera valutazione e al libero apprezzamento del giudice di merito."

Cass. civ. Sez. III, Sent., 20-03-2012, n. 4372

Spese di condominio e usufrutto


Se il diritto di usufrutto e' debitamente trascritto il condominio deve addebitare le relative spese all'usufruttuario o al nudo proprietario a seconda se si tratta di spese ordinarie o straordinarie 

... d'altra parte, la Corte del merito ha trascurato di considerare che, in caso di azione giudiziale dell'amministratore del condominio per il recupero della quota di spese di competenza di una unità immobiliare, difettano, nei rapporti fra condominio, che è un ente di gestione, ed i singoli partecipanti ad esso, le condizioni per l'operatività del principio dell'apparenza del diritto, strumentale essenzialmente ad esigenze di tutela dell'affidamento del terzo in buona fede, ed essendo, inoltre, il collegamento della legittimazione passiva alla effettiva titolarità della situazione giuridica soggettiva funzionale al rafforzamento e al soddisfacimento del credito della gestione condominiale (Cass., Sez. Un., 8 aprile 2002, n. 5035; Cass., Sez. 2, 25 gennaio 2007, n. 1627);

Cass. Sentenza 6 luglio 2011, n. 14883 da giurilex.it

Accertamento delle imposte sui redditi


Costituiscono redditi imponibili i depositi bancari per i quali non e' fornita alcuna giustificazione

In proposito, questa Corte ha già chiarito, con valutazione da cui non vi è motivo di discostarsi, che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presunzione, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, secondo cui sia i prelevamenti sia i versamenti operati sui conti correnti bancari vanno imputati ai ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività, se questo non dimostra di averne tenuto conto nella base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito - ha portata generale (nonostante l'utilizzo, nella versione applicabile ratione temporis, dell'accezione "ricavi" e non anche di quella "compensi") ed è applicabile, non solo al reddito di impresa, ma anche al reddito da lavoro autonomo e professionale (Cfr. Cass. 11750/08, 430/08, 4601/02).

Cass. Sentenza 27 giugno 2011, n. 14041 da giurilex.it

Giustizia Amministrativa


Concorso pubblico: la brutta copia dell'elaborato sbarrata è segno di riconoscimento?

La mera sbarratura della brutta copia dell'elaborato, attraverso l'apposizione di una X nelle facciate dello scritto, può ritenersi contrassegno idoneo a fungere da elemento di identificazione del candidato?

T.A.R. / T.A.R. Sicilia - Palermo / Sentenza 13 marzo 2012 da NORMA

21 marzo 2012

Professione forense - Responsabilità dei Magistrati - un esempio

Quando serve (e se serve) la responsabilità dei Magistrati ?

Sarà stato forse per il grave carico di lavoro. Forse a questa causa si può ricondurre la vicenda di cui al decreto di citazione a giudizio qui di lato.
Il Sost. Procuratore in questione, oltre ad essere un "dipendente" pubblico (e quindi pagato anche da te, caro lettore, oltre che dal sottoscritto), è altresì "personaggio" pubblico.
Pertanto, non ritengo di far torto a nessuno (e men che meno ad un dipendente pubblico) se condivido pubblicamente il documento qui di lato (peraltro a sentenza ormai pubblicata).
Così è capitato che il pur validissimo Magistrato non abbia considerato che la "contravvenzione p. e p. dall'art. 110, comma 9^ del T.U.L.P.S..." è ormai fattispecie depenalizzata dal 2005 e che, pertanto, non avrebbe dovuto chiedere il rinvio a giudizio del Sig. [...] per fatti relativi al 2008.
Immaginate cosa può essere successo in aula all'udienza dello scorso 8.2.2012, quando la Collega che patrocinava il povero Sig. [...] ha rappresentato la vicenda ? Putiferio.. il Giudice (a breve lo stralcio della sentenza in cui si dovrebbe richiamare l'intera vicenda) ha ovviamente assolto l'imputato perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato (deposito 30 gg). Nessuno però voleva credere all'accaduto. Erano anche presenti gli agenti verbalizzanti citati dal PM che hanno protestato sonoramente. Di fronte all'evidenza dei fatti, fortunatamente, il Sig. [...] è stato assolto.
Ma che dire del costo e del disagio che lo stesso incolpevole cittadino ingiustamente accusato ha dovuto subire ? Stiamo valutando l'ipotesi di agire per chiedere un congruo risarcimento dei danni.
Voi che ne pensate ?

Giustizia Amministrativa


Interrogatorio libero delle parti

Sulla valenza probatoria delle dichiarazioni rese in sede d'interrogatorio libero.

T.A.R. / T.A.R. Lombardia - Milano / Sentenza 14 marzo 2012 da NORMA

Giustizia Amministrativa


Penalità di mora o c.d. astreintes: quando è possibile chiederne il versamento?

Ove l'esecuzione del giudicato consista nel pagamento di una somma di denaro può trovare applicazione l'art. 114, comma 4, lett. e), Cod. Proc. Amm.?

T.A.R. / T.A.R. Sicilia - Palermo / Sentenza 13 marzo 2012 da NORMA


20 marzo 2012

Sentenza del mese. Trascrizione in Italia di matrimonio contratto all'estero tra soggetti dello stesso sesso


Nella sezione "Sentenza del mese", la sentenza Cass. civ. Sez. I, Sent., 15-03-2012, n. 4184 per esteso, relativa alla negata richiesta di trascrizione (e quindi alla negata ammissibilità) in Italia del matrimonio contratto all'estero tra soggetti dello stesso sesso. La Cassazione respinge il ricorso, dando torto agli sponsali, ma con delle precisazioni.

"...la specifica questione che - per la prima volta - è posta all'esame di questa Corte, consiste nello stabilire se due cittadini italiani dello stesso sesso, i quali abbiano contratto matrimonio all'estero - nella specie, nel Regno dei Paesi Bassi che, con la L. 21 dicembre 2000, n. 9, sull'apertura delle posizioni matrimoniali, ha tra l'altro sostituito l'art. 30 c.c., comma 1, il quale dispone che "Un matrimonio può essere celebrato tra due persone di sesso diverso o dello stesso sesso" -, siano, o no, titolari del diritto alla trascrizione del relativo atto nel corrispondente registro dello stato civile italiano.


E' di tutta evidenza che la risposta a tale specifico quesito dipende dalla soluzione della più generale questione - anch'essa nuova per questa Corte - se la Repubblica italiana riconosca e garantisca a persone dello stesso sesso, al pari di quelle di sesso diverso, il "diritto fondamentale di contrarre matrimonio, discendente dagli artt. 2 e 29 Cost., ed espressamente enunciato nell'art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 e nell'articolo 12 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali" (Corte costituzionale, sentenza n. 245 del 2011, che richiama la sentenza n. 445 del 2002)..."

CASSAZIONE CIVILE, Poteri della Corte in genere (motivi)


In sede di legittimità, il vizio deducibile ai sensi dell'art. 360, n. 5 c.p.c. deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del Giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato, non potendosi risolvere nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali effettuata dal Giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire. In altri termini, la dedotta erroneità della decisione gravata non può fondarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente stesso formuli in base ad una diversa lettura del materiale probatorio, dato che siffatta indagine rientra tra gli accertamenti riservati al Giudice di merito e che è, pertanto, sottratta al controllo di legittimità della Suprema Corte.

Cass. civ. Sez. II, 15-03-2012, n. 4149

Professione forense: nuovo logo "Avvocato Maurizio Storti"

Nell'era di internet, della comunicazione e dell'informazione, la necessità di rappresentarsi agli utenti con un segno distintivo diventa estremamente importante.
Ragione per la quale l'Avv. Maurizio Storti ha deciso di concentrare in un'unica immagine il "logo" della propria attività. Eccolo qui di seguito:
  
Con l'aiuto del Designer Gabriele Guglielmi (il quale ha sottoposto il professionista ad un questionario vero e proprio, per comprendere quegli aspetti della professionalità e della personalità necessari a dare l'impulso creativo al progettista) e con l'immancabile supporto del web developer Ethnix (per gli amici, semplicemente Danilo) si è creato un logo che rispecchia l'intento e le finalità dell'Avv. Maurizio Storti: assistenza legale a 360° e pieno coinvolgimento su tutti gli aspetti della vicenda eventualmente correlati. Un'immagine che, peraltro, ricorda una "esse" stilizzata.